AL Bellini di Napoli "Le cinque rose di Jennifer". Noir e solitudine nel dramma della contraffazione delle identità

di Anita Laudando 29/10/2019 ARTE E SPETTACOLO
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"Non è un testo su cui sovrascrivere ma in cui scavare, per tirare fuori sottotesti, possibilità, suggestioni, dubbi”.
Sono passati quasi 40 anni dal primo debutto di Jennifer, ma non c'è regista che prima o poi non ci si confronti. 
 
Dal 25 ottobre al 10 novembre 2019 è la volta di Gabriele Russo, che per la produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini, dirige Sergio Del Prete e Daniele Russo. L'inaugurazione della stagione teatrale non poteva iniziare meglio. 
 “Le cinque rose di Jennifer”  di Annibale Ruccello hanno illuminato l'elegante spazio scenico di Lucia Imperato, riempito di gesti estrosi i costumi di Chiara Aversano e commosso le anime borghesi presenti in platea tra le intime luci di Salvatore Palladino.  Il malinconico progetto sonoro è di Alessio Foglia e tutto ha promesso coerenza alle atmosfere dell’opera dell'autore stabiese.


Regia e interpreti ci presentano una realtà di cruda solitudine seppur ibridata dal  noir voluto da una drammaturgia che ci racconta dell’ assassino che si firma con 5 rose,  e il sentimentalismo affettato di chi resta in attesa di un messaggio alla radio o al telefono.

I mezzi di comunicazione si sono evoluti dagli anni ottanta, ma questa dovuta distanza, rende il concetto ancora più pregnante. Se oggi il travestito non fa più scandalo, è proporzionalmente vero che in scena vive il rispecchiamento dell’individuo contemporaneo. Jennifer è qualunque persona disposta a vivere di apparenza, in perenne attesa di ciò che non c'è. È contraffazione di noi tutti. Tale meccanismo è rivelato attraverso il funzionale doppio piano tra Daniele Russo e il Del Prete, tra l’ illusione e la sua ombra. Questa circolarità tra inganno e verità ha impegnato la sala a vigilare sulla direzione già conosciuta del testo. L’ isolamento del protagonista ha reso i due attori maschera unica per eccellenza, riuscendo a vestire e a spogliare anche il pubblico di quella comicità tragica tanto fedele alla vita quanto all’arte.


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