Italicum. La Consulta lo boccia in parte. No al ballottaggio, si al premio di maggioranza

di redazione 25/01/2017 POLITICA
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No al ballottaggio, resta il premio di maggioranza, stop anche ai capolista bloccati. E' questa la decisione della Consulta sull'Italicum. 

I rilievi su questi aspetti sono contenuti in cinque ordinanze giunte dai tribunali di Messina, Torino, Perugia, Genova e Trieste.

Anche l’Italicum è incostituzionale, almeno in parte: sì al premio di maggioranza, no al ballottaggio e ai capilista bloccati. E’ la decisione della Corte Costituzionale sulla legge elettorale.

 A promuovere i ricorsi un pool di avvocati: tra loro Felice Besostri, che fu già al centro dell'azione contro il Porcellum, poi dichiarato incostituzionale. Tredici i giudici presenti nell'aula della Consulta: relatore è Nicolò Zanon, che ha illustrato la causa. Poi hanno parlato gli avvocati anti-Italicum e a seguire l'avvocato generale dello Stato, Massimo Massella Ducci Teri, che ha il compito di difendere l'Italicum per conto della Presidenza del Consiglio. La decisione sarà presa dopo la camera di consiglio a porte chiuse dei giudici.

L'aspetto più esposto dell'Italicum resta il ballottaggio. L'avvocato generale dello Stato, Massimo Massella Ducci Teri, nella sua difesa della legge, ha dichiarato che "la Costituzione non lo vieta" ed è uno strumento adottato in altri Paesi e anche da noi per i sindaci. Ma in realtà resta un meccanismo tarato su sistemi presidenziali e semi-presidenziali che scelgono direttamente il capo del governo, mentre in quelli parlamentari puri non si giustifica ed è disallineato. Proprio questa potrebbe essere l'argomentazione che condurrà la Corte per dichiararlo incostituzionale in rapporto all'Italicum. Non dovrebbe invece essere toccato il premio di maggioranza, che i ricorrenti chiedono di eliminare. La sentenza con cui nel 2014 la Consulta bocciò il Porcellum, lo eliminò perché non era agganciato a una soglia di voti: nell'Italicum la soglia c'è ed è del 40%. Del resto uno dei legali-ricorrenti afferma che un mantenimento del premio lo lascerebbe del tutto insoddisfatto, ma poi si lascia sfuggire che dalla Corte "spera il meglio, ma teme il peggio".

La Consulta dovrà anche approfondire e motivare un intervento, non scontato, sui capilista bloccati e uno, più probabile, sulle multicandidature, che dovrebbero cadere: troppi 10 collegi in cui presentarsi; se il Parlamento vorrà reintrodurle, dovrà abbassare il numero. Quanto all'opzione sul collegio in cui essere eletti, il meccanismo non convince, ma eliminarlo potrebbe lasciare un vuoto da colmare che invece non deve prodursi.

In particolare i punti su cui si sono dovuti pronunciare gli alti giudici sono stati il ballottaggio, il premio di maggioranza, i capilista bloccati e le multicandidature. Il presidente della Consulta Paolo Grossi avrebbe voluto chiudere tutto entro la serata di martedì, ma da quanto è emerso è servito altro tempo non sulla sostanza della sentenza, ma sulla scrittura delle motivazioni, affidata al giudice relatore Nicolò Zanon. Il punto insomma è stato nell’articolazione del dispositivo in modo da non produrre vuoti normativi in materia elettorale.

L’aspetto più esposto dell’Italicum sembrava proprio il ballottaggio. L’avvocato generale dello Stato, Massimo Massella Ducci Teri, nella sua difesa della legge, aveva dichiarato in udienza che “la Costituzione non lo vieta” ed è uno strumento adottato in altri Paesi e anche da noi per i sindaci. Ma in realtà resta un meccanismo tarato su sistemi presidenziali e semi-presidenziali che scelgono direttamente il capo del governo, mentre in quelli parlamentari puri non si giustifica ed è disallineato. Alla vigilia sembrava non essere a rischio il premio di maggioranza, che i ricorrenti chiedevano di eliminare. La sentenza con cui nel 2014 la Consulta bocciò il Porcellum, lo eliminò perché non era agganciato a una soglia minima di voti: nell’Italicum la soglia c’è ed è del 40%. Del resto uno dei legali-ricorrenti afferma che un mantenimento del premio lo lascerebbe del tutto insoddisfatto, ma poi si era lasciato sfuggire che dalla Corte “spera il meglio, ma teme il peggio”.


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