Tutto dentro Metropoliz. Compreso un razzo per andare sulla luna

di Settembre 09/01/2016 TRANNE TUTTO
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Prendiamo per esempio delle persone.
Anzi, una persona a caso.
Un lavoratore, che la mattina si alza e va a lavoro, un lavoro qualsiasi, in ufficio, in ristorante, in negozio, in un autobus. Facciamo pure che è un uomo, generalizzo.

Passa fuori casa otto ore, nove con la pausa pranzo, dal lunedì a venerdì.
Il sabato pisciatina al cane e via corsetta a Villa Borghese.
La sera after, domenica a riposo: il post su Facebook sul lunedì-traumatico è d'obbligo, poi si pulisce casa, si va a trovare qualcuno o si mangia direttamente sul divano, pranzo e cena.

Il mio stereotipo in questo caso è un uomo rigorosamente single, per carenza di tempo e talvolta ormoni, credo.

Dunque, siamo sul fondo, io e il lavoratore. Ci guardiamo negli occhi.
«Cosa c'è? Almeno ho un lavoro.»
 Lo guardo pure io, ma un po' mi imbarazza, sembra pure insicuro, ma come diamine l'ho creato questo stereotipo?
Mi abbasso, senza staccare lo sguardo dalla sua barba, un po' troppo perfettamente incolta.
«È che io, stasera, vado a Monti...»
Ah, giusto, sabato sera a Monti.
Inizio a tastare con le mani il terreno sul quale poggiamo i piedi
«Beh, che fai, te ne stai lì?»
Mi guarda stupito, si aggiusta il colletto. Non risponde nemmeno.
Forse non capisce che qui bisogna iniziare a grattare il fondo.

Quindi si parte dal basso, dal fondo, cioè dalle persone. Cioè dalla cavia-stereotipo, da me, da te, o dai 180 mila Rom, attualmente circolanti per l'Italia, di cui due terzi non censiti, cioè non registrati.

Cioè: boh, chissà? Ci stanno? Dove stanno? Boh e così in loop, da capo e potenzialmente all'infinito.

Ci stanno, ci stanno eccome.

Ora, per non zingarizzare l'argomento più di quanto lo sia già, prenderò il tutto da un altro verso, nonostante ieri, di nuovo mi sono ritrovata con le mani in tasca. Non mie.

Si sa  che il  problema resta la mancanza di lavoro, gli atti vandalici, anche da parte dei nomadi, aumentano con la disorganizzazione e la fame. Quella che non ti permette di farti una pasta, anche in bianco.
Mi saltano all'occhio le parole di Maurizio Pagani dell'Opera Nomadi di Milano in un articolo su Tiscali, dove afferma che in merito alla questione le politiche pubbliche non hanno né investito né inciso granché in fatto di assistenza. Assistenza spesso a breve termine e fine a se stessa, tra l'altro.

C'è invece un posto a Roma, lo definiscono spazio socio-abitativo, perché effettivamente è quello che è. Ne ho parlato a chiunque, ora questa storia riesce a trovare il proprio spazio anche qui.
 
Dunque, accade questo: Nel 2009 una fabbrica dismessa di salami e prosciutti viene occupata da circa 200 persone tra cui migranti e precari, peruviani, rom, africani, ucraini e pure italiani, se proprio la vogliamo dire tutta. In comune hanno tutti la voglia di lottare per sopravvivere e inventarsi un posto solidale, autogestito, da abitare. Si tratta dell'ex salumificio Fiorucci sulla Prenestina.

Fino a qui sembrerebbe la più comune delle storie di occupazione nel territorio nazionale, se non fosse che in questo posto, con l'aiuto di due persone geniali come Giorgio De Finis e Fabrizio Boni, e gli abitanti della "città occupata", nasce un'idea.
E l'idea diventa un progetto che ha dell'incredibile: costruire un razzo per andare sulla luna.

Utopia? Assolutamente no. Ma di certo ci sarebbe stato da spalancare le porte alla magia, se solo qualcuno avesse azzardato a non crederci.

Gli occupanti della vecchia Salsicciopoli accettano stupiti ma con entusiasmo la proposta: meglio decollare verso lo spazio,rimanendo con i piedi saldi a terra, che annegare sotto terra, ad ogni modo.Vengono così organizzati laboratori creativi, ridipinte le pareti, allacciate le luci e l'acqua, ristrutturati gli spazi comuni, la libreria, la sala per i bimbi, gli esterni.

In contemporanea, viene portata avanti la costruzione di un enorme telescopio, ideato da Gian Maria Tosatti e, mi piace chiamarla "messa in piedi", del razzo spaziale di sette (forse più?) metri che sorge e funge da torretta in mezzo alla piazza di questa città multiculturale.

Il tema extraterrestre è azzeccato e il posto inizia a riempirsi di opere d'arte, murales, installazioni, eventi.
Massimo di Giovanni riesce addirittura ad incastrare un'enorme luna legnosa nel soffitto del cortile interno e Alessandro Poli, in un'intervista rilasciata durante la realizzazione del documentario a puntate su Space Metropoliz (lo trovate su Youtube) dice che non ci si può andare, sulla luna, se si ha solo un concetto scientifico del territorio.

«Bisogna andare sulla luna se si capisce l'arte. Se si ama, si capisce e si rispetta chi con la luna ha saputo per migliaia di anni seminare e capire le stagioni, il ritmo. Averne anche un certo distacco e una certa paura»

Nonostante l'opinione pubblica non si faccia scrupoli nel condannare la popolazione nomade che attualmente pascola in modo più o meno legale per tutto il territorio italiano, io rimango folgorata davanti ad un progetto così variegato e ben riuscito, finalmente non autoconclusivo.

 Insieme ad architetti, musicisti, ex astronauti, writers e scienziati, tutti all'interno collaborano per ricostruire a misura d'uomo un ambiente con una storia così truce. 

Molti artisti decidono di dare il proprio contributo, trovo così sulle pareti tracce di Lucamaleonte, Mr. Klevra, Antonello Viola, Sten & Lex, Guendalina Salini, Blu e tanti altri che trovate citati su www.spacemetropoliz.com.

Da macello a casa, il passo sembra enorme, in poche settimane all'interno di quelle mura chiunque si accorge del grande cambiamento.
Da Casilino 900, il più grande campo nomadi europeo, a MAAM, Museo dell'Arte e dell'Altrove di Metropoliz. O casa.

Ho avuto modo di visitare la Città Meticcia, come viene chiamata, qualche settimana fa.  I bambini sono ovunque, accompagnano e giocano con noi curiosi visitatori terrestri. Intravedo le donne in cucina, ridono. C'è sempre qualcuno che lavora o aggiusta qualcosa, trasporta materiali, lamiere. Immagino che tuttora, nonostante l'intervento eccezionale di De Finis e Boni, il tutto resti al limite dell'abusivo, embè?
Anche la Metro C rimasta in stallo per anni si potrebbe considerare ben poco legale, se per questo. Le persone lì sono felici, integrate tra loro, collaborano per mantenersi e migliorarsi.  Un perfetto ecosistema.

 E non provate nemmeno ad accennare alla criminalità, al vandalismo degli zingari e a qualsiasi cosa dettata dallo stereotipo-rom. Prendete la macchina o i mezzi e andate a vedere cosa accade ora in Via Prenestina, al numero 913

Trovate Space Metropoliz aperta dalle 11 alle 19, ogni sabato.
Fate ancora in tempo, oggi.

 


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