Lo sciopero dei lavoratori dei call center. Appalti al massimo ribasso, delocalizzazione, salari bassi. I call center, fenomenologia del lavoro del Ventunesimo Secolo

di Massimo Lorito 21/11/2014 ECONOMIA E WELFARE
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I lavoratori dei call center hanno scioperato venerdì 21 novembre dopo la mobilitazione del 4 giugno scorso perché purtroppo nulla è cambiato da quando al Ministero dello Sviluppo Economico si è aperto un tavolo ad oggi fermo e incapace di risolvere le più importanti problematiche. L’astensione dal lavoro è stata sottoscritta da tutte le principali sigle del settore: Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil; dopo il corteo che ha attraversato le strade di Roma si prosegue con, “la notte bianca dei call center”, una non-stop di dibattiti e concerti a Piazza del Popolo per dire basta a delocalizzazioni e alle gare al massimo ribasso.

 L’Analisi

Quando si parla di call center, vi è ormai la netta sensazione che questi ambiti lavorativi così diffusi sul territorio, tanto da rappresentare per il nostro Paese il principale sbocco lavorativo per gli under 30 e per tanti altri che quella età l’hanno superata ma che hanno perso il proprio posto di lavoro, siano il paradigma della radicale trasformazione, peggioramento si potrebbe tranquillamente dire, che il lavoro ha subìto negli ultimi vent’anni. Precarizzazione, salari non dignitosi, pochissimi diritti, delocalizzazione, tutto quanto oggi viene biasimato da più parti a proposito del mondo del lavoro, è stato sperimentato da sempre nei call center. Essi sono stati una specie di esperimento, ahinoi riuscito, di come il lavoro sia diventato qualcosa di subordinato alle dinamiche globali, prima fra tutte, subordinato alla finanza e non più a mere strategie imprenditoriali. Nel tavolo al Ministero i sindacati e i lavoratori chiedono che venga finalmente recepita la direttiva europea 23 del 2001 che stabilisce, in caso di cambi d’appalto, che l’azienda subentrante si faccia carico dei lavoratori dell’azienda uscente. Confindustria è contraria. Altro punto chiave reclamato dai lavoratori è quello della messa fuori legge delle cosiddette gare d’appalto al massimo ribasso. Si tratta di una possibilità, e non c’è bisogno di essere consulenti del lavoro per capirlo, che lascia campo libero alle proprietà dei call center di presentare proposte d’appalto con costi minimi per ottenere guadagni notevoli, a tutto svantaggio delle condizioni retributive e generali dei lavoratori, vedi sicurezza, vedi orari, turni e via discorrendo. La posizione del Governo Renzi al momento è di silenzio, dopo un iniziale tiepido favore verso tali richieste. Altro punto nodale sono gli sgravi contributivi alle aziende, contenuti nel Jobs act, per i primi tre anni dopo l’assunzione di un lavoratore. Tale norma, se applicata pienamente in un settore come quello dei call center può essere controproducente in quanto come già sta avvenendo in molte zone, si sono crearti artificiosamente call center che partecipano alle gare d’appalto, ovviamente con la strategia del massimo ribasso, e che una volta finiti i contributi, chiudono in un giorno.

 La situazione

Fra i casi più eclatanti, dopo quello clamoroso di Eutelia, a Palermo sono 262 i lavoratori che rischiano il licenziamento dopo che British Telecom ha revocato la commessa ad Accenture489 quelli di E-Care a Milano. A Roma gli operatori di Almaviva restano in attesa di conoscere il loro destino dopo che la nuova commessa per il comune di Roma è stata vinta da un’azienda concorrente, la Abramo Costumer Care. Enel ha indetto una gara al massimo ribasso, per la quale, chi vincerà non potrà di certo garantire i diritti minimi previsti dal contratto nazionale.

I sindacati assieme ai lavoratori stanno nel frattempo portando avanti una raccolta di firme per presentare una denuncia alla Commissione Europea in merito alla mancata recezione del nostro Paese dei contenuti della direttiva 23 del 2001. 



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