Brexit. Passa emendamento che conferisce al Parlamento timone per il dibattito e i voti. La May sempre più in difficoltà

di redazione 26/03/2019 ESTERI
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Nuova tegola per Theresa May: è passato con 329 contro 302 l’emendamento Letwin (un parlamentare conservatore che pure appoggia il suo piano) che di fatto fa sì che la Camera dei Comuini britannica strappi il timone alla premier sulla Brexit nei prossimi giorni di dibattito e di voti sulla Brexit, oramai diventato pantano e psicodramma nazionale. Questo significa che il Parlamento avrà la libertà di organizzare votazioni in aula su possibili piani alternativi a quello May (il quale a oggi non ha tuttora i numeri), e questo è qualcosa di inedito. Non a caso secondo la premier crea un “pericoloso precedente parlamentare”, perché in genere nel Parlamento inglese è sempre l’esecutivo a dare il passo e decidere che cosa viene messo ai voti. Da oggi non sarà più così.

L'ennesimo duro colpo per May e il suo esecutivo, che ha già subito uno smottamento, per ora limitato alle dimissioni di tre sottosegretari che hanno votato per l'emendamento Letwin (per convenzione i membri del governo non possono votare contro lo stesso). Inoltre, la decisione dell’aula produrrà ancora più confusione. I voti sugli emendamenti dei piani alternativi (tra i quali il piano Corbyn con la sua unione doganale permanente, o il modello Norvegia o addirittura la richiesta di un secondo referendum) che a questo punto verranno messi alla prova della Camera da mercoledì non sono legalmente vincolanti (proprio perché non presentati dal governo), ma allo stesso tempo l’esecutivo May non potrà ignorarli. O forse sì, come ha fatto intendere oggi la premier: “Non assicuro di tenerne conto se questi andranno contro il risultato del referendum del 2016”. Se May facesse davvero una cosa del genere, aggraverebbe ancora di più lo scontro costituzionale nel Parlamento britannico, con conseguenze ancora tutte da decifrare.

In ogni caso la premier, cocciutissima come sempre, va avanti. Non sono bastate le voci di un golpe nel weekend da parte del vicepremier Lidington e del ministro dell’Ambiente Michael Gove, non è bastato il fatto che gli euroscettici del suo partito e gli (ex?) alleati unionisti nordirlandesi hanno detto per l’ennesima volta che non appoggeranno il piano May sulla Brexit (ed è per questo che la premier stenta ancora a ripresentarlo in aula per la terza volta, forse se ne riparlerà giovedì) e non è bastata nemmeno la prima pagina del Sun, giornale tabloid che ha sempre sostenuto la premier ma che oggi titolava a caratteri cubitali in prima pagina: “Theresa, il tempo è scaduto, devi dimetterti”. Invece a dimettersi sono stati il sottosegretario al Business Michael Harrington, quello agli Esteri Benn e quello alla Salute Brine che hanno votato per l'emendamento Letwin.

May invece va avanti, fino alla fine. Ma la fine, cioè il 12 aprile, è vicina e se entro quella data non ci sarà un accordo, si dovrà chiedere per forza di cose all'Europa un ulteriore rinvio oppure si dovrà uscire brutalmente con il No Deal, cioè senza accordo, con conseguenze potenzialmente pesantissime per l'economia. Ieri l'Ue ha detto di aver completato i piani di contingenza in caso di questo scenario estremo, il Regno Unito invece da dicembre ha accelerato ma non è ancora pronto. May poi ieri prima ha detto che il No Deal "verrà evitato in ogni caso visto il voto recente del Parlamento contro l'uscita senza accordo", poi dopo pochi minuti si è contraddetta: "Resta l'opzione automatica di default, se non c'è un accordo". Di fronte a questo assoluto "nonsense" i suoi portavoce ieri a Westminster si arrampicavano sugli specchi. L'ennesima prova che il caos regna sovrano a Londra.

 


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