"Roma" di Alfonso Cuaron. Netflix in "guerra" con le sale per il vincitore del Leone d'Oro di Venezia

Cuarón ha deciso di girare il film della sua vita. Un'operazione progettata a tavolino con matematica precisione che lascia freddi ed indifferenti.

di EMILIANO BAGLIO 05/12/2018 ARTE E SPETTACOLO
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Bisogna immaginarselo Alfonso Cuarón seduto alla sua scrivania intento a scrivere quello che dovrà essere “il film della mia vita”.

Amici e parenti gli ricordano che non ce n’è nessun bisogno, che lui non deve dimostrare nulla, che ha girato due dei migliori film di fantascienza degli ultimi anni, I figli degli uomini e Gravity, che col secondo ci ha vinto pure svariati Oscar e che pure in una saga dalle regole rigide come quella di Harry Potter lui è riuscito a lasciare il suo marchio d’autore (Harry Potter e il prigioniero di Azkaban).

Niente, Cuarón non vuole sentire ragioni. È venuto il momento di dimostrare al mondo che lui è un autore vero, serio ed impegnato.

Il nuovo film sarà una saga familiare, come nei grandi romanzi a cavallo tra ‘800 e ‘900, dai tratti fortemente autobiografici e riporterà il regista nella sua terra natia, il Messico.
Dentro ci sarà di tutto, il conflitto di classe tra la famiglia borghese di Sofia e la provenienza india di Cleo, ci sarà la grande storia con la s maiuscola del Messico degli anni ’70 attraversato dagli scontri tra manifestanti e polizia visto però dal buco della serratura di una piccola vicenda privata che si erga a simbolo della trasformazione di un paese intero.

Ci sarà quindi il ritratto di una società in mutazione che però è ancora profondamente maschile e maschilista così che il regista possa firmare un film sul potere della donna e sulla solidarietà femminile capace di abbattere tutti i confini di censo e di stato sociale.

Dovrà essere un film girato con uno stile geometrico e controllato, fatto da pochi movimenti di macchina essenziali (panoramiche e carrelli in primo luogo) ma con un uso da manuale della profondità di campo (si veda la scena in cui Cleo viene abbandonata dal fidanzato mentre i due guardano un film al cinema).

Sarà un film con una sua lunghezza importante (due ore e un quarto), interpretato ovviamente da attori non professionisti e sarà in bianco e nero che alla fine la lezione del neorealismo è sempre attuale.

Infine conterrà delle metafore così grandi da risultare imbarazzanti, ancora di più di quanto non accadesse già in Gravity. L’esempio più lampante è la scena in cui Cleo è l’unica che, in mezzo ad una folla di uomini, riesce a fare la posizione dell’albero ad occhi chiusi a simboleggiare la sua forza e stabilità interiore, nonché la forza intrinseca dell’eterno femmineo eccetera eccetera.

Ci sarà anche qualche scena che griderà ad alta voce “questo è un film d’autore), come quando, mentre va a fuoco un bosco, in primo piano l’autore piazzerà un personaggio bizzarramente vestito (l’azione si svolge durante il capodanno) che si metterà a cantare senza motivo che fa tanto cinema surreale stile Fellini.

Alla fine se lo comprerà Netflix che lo distribuirà sulla sua piattaforma (in Italia dal 14 dicembre) ma per far contenti tutti quelli per cui il cinema è tale solo se visto su grande schermo circolerà anche nelle sale, rigorosamente (vivaddio) in versione originale e con sottotitoli.

E comunque la si pensi sul risultato finale che al primo spettacolo di un giorno feriale la sala che ospitava un film con tali caratteristiche fosse comunque gremita è comunque un bel segnale, vuol dire che il pubblico è aperto e disponibile anche a prodotti che generalmente sarebbero considerati di nicchia.

Insomma in Roma, vincitore del Leone d’oro all’ultimo Festival di Venezia, tutto è rigorosamente calcolato al millimetro, tutto è pianificato e progettato con matematica freddezza, tutto è al posto giusto, tutto è calibrato.

Alla fine sembra che comunque abbia avuto ragione l’autore visto che il film sta riscuotendo un incredibile successo di critica, a noi però rimane l’impressione di un’operazione pianificata a tavolino in cui mai, neanche per un attimo, baleni la benché minima emozione e si rimanga con in mano un film freddo incapace di coinvolgerci e che non lascia alcuna traccia di sé dentro lo spettatore.

Ma come sempre, sicuramente siamo noi a sbagliare.

 

 


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