Diecimila morti in 8 anni. Il lavoro, dall'emergenza disoccupazione alle "morti bianche"

di redazione 03/04/2018 ECONOMIA E WELFARE
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Con i due morti nel bergamasco, salgono a 151 i lavoratori morti sui luoghi di lavoro nel 2018. Lo si apprende dall'Osservatorio Indipendente di Bologna, che da dieci anni monitora gli infortuni mortali. Un numero notevolmente superiore rispetto ai 113 dello stesso periodo del 2017. L'anno scorso i morti sui luoghi di lavoro, sempre secondo l'Osservatorio, sono stati in tutto 632. Con 20 morti è il Veneto la Regione che conduce la triste classifica, segue la Lombardia e poi il Piemonte. Milano, con 8 decessi, è la provincia con più morti sul lavoro, seguono due province venete, Treviso e Verona con 7 morti.  

Nel 2018  quello di oggi è il terzo caso di morti multiple: il 20 marzo due Vigili del Fuoco sono morti a Catania, mentre il 28 marzo due lavoratori sono deceduti nel Porto di Livorno. I due vigili del fuoco sono morti, ed altri due sono rimasti gravemente feriti, in un appartamento nel centro storico di Catania. La squadra dei pompieri era intervenuta in via Garibaldi in seguito alla segnalazione di una fuga di gas. Prima ancora di poter intervenire, i quattro pompieri che si stavano avvicinando alla porta sono stati travolti dalla violentissima esplosione. Anche i due operai di Livorno sono stati travolti ed uccisi da un'esplosione mentre stavano concludendo le operazioni di svuotamento del serbatoio 62, contenente acetato di etile, nella zona industriale del porto di Livorno. 

L'analisi

Una strage che come certificano i dati dell’Inail dopo molti anni di discesa sono tornati ad aumentare in modo evidente. Gli infortuni mortali dal 2000 al 2016 si erano dimezzati; nel 2017 e in questo scorcio di 2018 sono tornati a crescere. Nel 2017 le denunce all’Inail di «infortunio sul lavoro con esito mortale» sono state infatti 1029, undici in più rispetto all’anno precedente (+1,1%). Pesano, spiega l’Inail, un maggior numero di incidenti «plurimi», che hanno cioè causato la morte di almeno due lavoratori. Sono gli extracomunitari, con undici casi in più e 119 caduti, a pagare sul fronte delle morti del lavoro nel 2017 un prezzo relativamente più alto, mentre rimane invariato il numero dei casi mortali di infortunio per lavoratori italiani e comunitari.

 Per gli esperti è «colpa» prevalentemente della ripresa economica. Che si è accompagnata a un maggior utilizzo di lavoratori over 60, più esposti agli incidenti, e a una diffusione maggiore dei contratti a tempo determinato, che con la continua rotazione di mansioni e impieghi impediscono che i lavoratori possano accumulare le competenze e le informazioni che servono ad evitare di farsi male, o peggio, morire. Sullo sfondo, gli ancora inadeguati investimenti in sistemi di prevenzione da parte di tante aziende, specie quelle più piccole, che costituiscono l’ossatura del sistema produttivo nazionale. E pesano drammaticamente i limiti evidenti del sistema delle ispezioni e dei controlli pubblici.

Tornando ai numeri dell’Inail – il bilancio 2017 è ancora provvisorio, e lo sarà fino alla relazione annuale di luglio – va registrato un calo delle denunce di infortunio, 635.433 (lo 0,2% in meno sul 2016, merito largamente del miglioramento registrato in agricoltura). Però gli infortuni non mortali aumentano nettamente nelle Regioni economicamente più forti, come al Nord, dove spiccano i casi di Lombardia (+1708 denunce) ed Emilia Romagna (+1177).

Per l’INAIL i morti sul lavoro nel 2017 sono stati 1029. In questo tragico numero che contiene i lavoratori morti sulle strade e in itinere, non sono elencati gli agricoltori schiacciati dal trattore. Solo negli ultimi giorni, oltre alle tragedie di Livorno e Bologna, i morti sul lavoro sono stati 11. 

Una strage, un bollettino a cui vanno aggiunti anche gravi incidenti sul lavoro. I numeri parlano chiaramente: si tratta di una guerra non dichiarata contro i lavoratori, una vera e propria mattanza. Le indagini verificheranno le responsabilità, che andranno colpite con il massimo rigore. Di sicuro, però, questi sono i risultati drammatici del fatto che in Italia manca ancora un piano nazionale per la sicurezza sul lavoro, un paese, il nostro, in cui si riscontrano ancora limiti inqualificabili, ritardi insopportabili e gravi inadempienze legislative. Non solo. L’aumento della precarietà, la paura di perdere il posto di lavoro, ritmi sempre più veloci e flessibili sono elementi che hanno reso il lavoro sempre meno sicuro e consegnato i lavoratori al ricatto. E’ giusto che la manifestazione nazionale del Primo Maggio sia dedicata al tema della sicurezza, ma non basta. Occorre una straordinaria mobilitazione nazionale affinché il nuovo Parlamento assuma il tema della sicurezza sul lavoro come centrale e prioritario.


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