Maledetto Natale

di Fabio Sabbi 27/12/2016 CULTURA E SOCIETÀ
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Scendo in strada e il tabaccaio con il quale ci guardiamo tutto l’anno in cagnesco mi augura ogni bene, passo al supermercato e la cassiera ripete ad ognuno uno stentato e ostentato augurio da contratto. Se faccio passare un pedone alza la mano a ringraziare con una gentilezza non comune. In giro masse in movimento con buste ed occhi frettolosi di impegni certamente vitali o appuntamenti immancabili. La giostra gira vorticosamente coi suoi tentacoli ridicoli e osceni. Qualche inebetito solitario cammina da solo e stordito mostrando forse ancora un minimo di coscienza della mascherata che lo circonda e l’opprime senza scampo. Qualche luce in giro e sbrilluccicchii  in una città dal centro impenetrabile dalla foia delle feste. Così mutilati d’ogni sincera gioia vagano gli zombie sideralmente lontani da ogni sensazione. Per l’intero anno arroccati ai loro “fortini di benessere” e poi un paio di giorni velatamente disponibili ad un sorriso d’augurio. Fustigati dalla rabbia di dover incontrare chi non si vorrebbe incontrare e spesso anche in colpa di provare quello che realmente si prova solo per una tradizione da rispettare. Ma quale tradizione? Ci sarebbe una sola vera tradizione da celebrare, quella della rinascita della luce che cautamente si protrae dopo l’incedere delle tenebre del profondo inverno e che è storia che nessuno più riconosce nella sua semplice verità così impegnato com’è sui riflessi dei pacchi lucidi. Qualcuno quella luce l’ha voluta vedere nella nascita d’un bimbo redentore, gli uomini un tempo semplicemente la ringraziavano per il pericolo appena più lontano di un buio e un freddo che tornavano lentamente a diradarsi dopo il loro incombere sempre più minaccioso. Era il vigore della luce che tornava a filtrare e a salvaguardare la vita. Ma oggi non rimane niente più di niente se non un ammasso di telecomandati ai mercati o a tavola. Disperata benevolenza quella che si dipinge raggrinzita sui volti vinti delle persone. Lo so che abbiamo perso, lo sappiamo anche nel momento stesso in cui c’incrociamo o c’abbracciamo a comando. Ma forse non immaginavamo neppure noi d’arrivare al punto di dover essere sorridenti per dovere e non diversi dalla cassiera che lo faccia per contratto. Allora? Allora è finita. Basta. Non c’è speranza, e per fortuna che non ci sia. Siamo nel vagone silente del cimitero dei sensi, discendenti rinnegati di amanti troppo troppo lontani e troppo troppo più poveri di noi. Benedetta povertà quella che anche portava alla fame ma non al superfluo. “Il superfluo rende superflua la vita” disse quel dolce perseguitato di Pier Paolo Pasolini e a noi non rimane che quello. “Vuoi guarire?” disse quella luce anche detta Nazareno. E noi vogliamo guarire? Sono queste le poche parole che mi sovvengono adesso, come mi sovviene il fatto incontestabile che preferiamo il superfluo delle nostre distrazioni alla guarigione della nostra natura crudele e gioiosa. Terribilmente angosciante sarebbe conoscerla e viverla per ciò che è, inaccettabile al punto tale da barattarla con qualche strisciata di carta di credito pagata al prezzo di un altro anno in schiavitù. Maledetto e Benedetto Natale che con questo impeto ci sbatti in faccia ogni anno più velenosamente quest’irrimediabile evidenza.

Dal Blog A.B.C. - Aiuto per la Bonaria Composizione delle Controversie


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