La Francia si mobilità contro il "Jobs act". IL Paese bloccato dalle proteste. Quale futuro per la sinistra che ridimensiona i diritti dei lavoratori?

di Matteo Lombardi 24/05/2016 ESTERI
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Nel silenzio dei media di Stato e delle più importanti testate giornalistiche italiane, si sta consumando a pochi chilometri dal territorio italiano una battaglia sociale durissima. Ormai da tre mesi il Paese è attraversato da scioperi, manifestazioni, cortei, sit in che hanno come obiettivo opporsi al cosiddetto Jobs act francese. Una serie di provvedimenti voluti dal governo e dal presidente Hollande che minano alla base molti fra i diritti dei lavorati francesi.

L’opinione pubblica è spaccata e così i cittadini che come è noto in Francia sono molti attenti alle tematiche dei diritti. Nell’ultimo mese si sono moltiplicate le azioni di sabotaggio della regolare vita, tanto che in queste ore in alcune zone del Paese scarseggiano carburante e generi di prima necessità dopo che i lavoratori hanno bloccato alcune raffinerie e depositi di petrolio. Lunghe code di automobilisti si sono create ai distributori in diverse zone. 1.500 stazioni di servizio su 12mila sono senza rifornimenti. La parte più colpita è il nordovest.

 I sindacati, con la Cgt in testa, sono scesi in piazza con determinazione per costringere il Governo a ritirare il provvedimento jobs act. Un braccio di ferro destinato a proseguire con la giornata di mobilitazione generale prevista per il 26 maggio.

Studenti, operai, lavoratori autonomi, impiegati, insegnanti, lavoratori del settore agricolo, autotrasportatori, sembra proprio che i provvedimenti voluti dal primo ministro Valls e dal presidente Holland siano riusciti nel non facile compito di scontentare una bella fetta della società transalpina. I vertici governativi promettono una risposta dura e inflessibile contro le operazioni di blocco delle attività produttive, come nella migliore tradizione francese, ma per risposta ottengono la promessa dei lavoratori e dei sindacati di scendere in piazza a tempo indeterminato dal prossimo 2 giugno se il governo non ritirerà la legge sul lavoro.

Ora quanto sta accadendo in Francia richiama ad alcune riflessioni. La prima riguarda il presidente Hollande che aveva vinto le elezioni proprio in virtù di una campagna elettorale incentrata sui temi sociali del lavoro e dei diritti, evidentemente pare essersene dimenticato. Ma soprattutto induce ad una riflessione sulla realtà della sinistra europea. A dirla sbrigativamente la sinistra in Europa non esiste più, non certamente in termini di presenza partitica e di consensi elettorali, governa in molti stati, ma in termini di valori difesi, di progetti e di una visione che i suddetti partiti di sinistra non riescono più a difendere e tradurre in politiche reali.

L’abbattimento dei diritti dei lavoratori in francia fa il paio con tutti quei provvedimenti, molto spesso emanati da governi in teoria progressisti, che in Inghilterra, vedi Blair, in Italia, Prodi e Renzi, in Francia, hanno minato le sicurezze di milioni di lavoratori che in gran massa avevano votato quegli stessi governi.

Non è esagerato dire che i partiti di sinistra in Europa stiano facendo ormai quel “lavoro sporco” di erosione delle conquiste sociali, vedi welfare, pensioni, sanità scuola, trasporti, tasse, che in teoria toccherebbe alle forze conservatrici.

In Francia i lavoratori protestano contro la grande flessibilità introdotta nel mercato del lavoro, contro i licenziamenti, contro l’aumento delle ore di lavoro, contro la riduzione dei “paracadute sociale” rappresentato dagli ammortizzatori. Ma la sostanza delle proteste dovrebbe interessare tutti i lavoratori europei che in questi anni hanno visto enormemente intaccati i propri diritti sociali nella contemporanea drastica riduzione del potere d’acquisto dei salari. La situazione italiana non è affatto distante da quella francese: enorme flessibilità in uscita e scarsa in entrata, salari insufficienti al costo della vita, precarizzazione, diritto alla pensione fortemente in pericolo. Sembra che da noi ormai ci sia “abituati” all’umiliazione della figura del lavoratore, di quello pubblico, come di quello dei settori produttivi privati.

Pochissimi osservatori e ancor meno sindacalisti e politici qui da noi stanno portando all’attenzione dell’opinione pubblica i temi della protesta francese. Sarebbe il caso di farlo così come sarebbe il caso di cominciare a riflettere seriamente su quale sia oggi il senso, la funzione e l’utilità dei partiti che ancora dicono di ispirarsi ai valori della sinistra, quando si trovano nelle stanze del potere e devono decidere delle sorti di milioni di persone. Hanno tradito definitivamente quei valori e milioni di cittadini?

 

 


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