La vera Riforma della Rai? Professionalità, obiettività, tecnologie, emancipazione dalla politica

di Massimo Lorito 09/07/2015 POLITICA
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 Se ne discute ad ogni nuovo governo. Partiti, leader, intellettuali si dicono pronti a riformare la Rai, la prima azienda culturale del Paese. Anche questa legislatura non è da meno delle precedenti e così se ne discute da tempo in Parlamento. Le ricette in campo sono molte, ma il nocciolo della questione sembra esattamente questo: non possono essere i partiti e la politica a riformare un’azienda come la Rai, perché sono loro i responsabili principali dell’odierna situazione; semplicemente questi dovrebbero farsa da parte, “mollare l’osso”.

Una necessità quella di una reale riforma della Rai ribadita dall’ultima relazione Agcom al Parlamento illustrata dal presidente Cardani, il quale non fa sconti sulla non rinviabile necessità della Riforma che comprenda anche un canone più equo.

Una riforma del canone nel segno di semplificazione, perequazione sociale e effettività della riscossione. Anche il servizio pubblico non si sottrae alle sfide poste dal nuovo quadro digitale e convergente”. Occorre interrogarsi sul ruolo del servizio pubblico svolto dalla Rai, secondo Cardani, in relazione agli scenari della cosiddetta multipiattaforma come il naturale orizzonte del servizio pubblico del prossimo futuro nell’era digitale. Dunque semplificazione del sistema di finanziamento ma anche innovazione e investimenti in tecnologie.

 Nella Relazione Agcom si legge infatti come il quadro del settore delle comunicazioni e dell’editoria sia in forte crisi. Il suo valore complessivo è sceso a 52,4 miliardi nel 2014, il 6% in meno rispetto al 2013, quando già era calato del 6,6%. Osservando i vari comparti quello più in sofferenza è quello delle tlc, il cui valore supera di poco i 32 miliardi di euro. Per quanto riguarda specificamente i media e l’editoria il settore registra tra il 2013 e il 2014 un calo del 3,2%, passando da un valore complessivo di 14,8 miliardi a 14,3.

In forte calo l’editoria: da 4,6 miliardi a 4,1 (-10,7%). Cresce Internet da 1,4 miliardi a 1,6 (+10%).

Vi è la necessità di “una riforma ampia della normativa italiana in materia di comunicazioni, informazione e media. Il quadro esistente, tra l’altro molto frammentato e disomogeneo, è infatti ormai obsoleto rispetto alle sfide imposte dal nuovo sistema”, sempre secondo Cardani.

 Motivi di riflessione che di rimando dovrebbero indurre la classe dirigente a riflettere su quale strada far imboccare alla Rai. Certamente una volta allentata la morsa della politica sull’azienda sarebbe il caso di dotare la Rai di una governance chiara, riconosciuta, trasparente, efficiente, responsabilizzata nella completezza di ruoli e responsabilità. Una “testa” che inauguri definitivamente la Rai dei professionisti e ci faccia dimenticare quella dei veti e degli uomini voluti dai partiti, più o meno di potere. Il parlamento deve “solo” svolgere la sua funzione di garanzia e controllo, con la commissione di Vigilanza “cane da guardia” dell’azienda.

Occorrono tagli agli sprechi razionalizzando le molteplici testare locali, vi è infatti  l’urgenza di razionalizzare il patrimonio immobiliare, anche con una ridefinizione della presenza delle sedi territoriali; servono poi investimenti nei settori degli approfondimenti, d’inchiesta e di cultura. Serve un allargamento degli orizzonti dei contenuti proposti all’utenza in materia di nuove tecnologie ad esempio o della diffusione di paradigmi culturali.

 Serve tutto questo e molto altro, ma serve, forse come punto di partenza, che il servizio informativo della rai, pagato pubblicamente, non si riduca a portavoce del governo di turno. Ossia deontologia e obiettività nell’informazione. Lampante quanto misero esempio ci viene in questi giorni dalle modalità con le quali i telegiornali e i radio giornali hanno trattato il tema del referendum in Grecia. Se si fosse dato ascolto alle interviste degli inviati trasmesse dalle testate rai, in Grecia il Si al referendum avrebbe dovuto vincere a larga maggioranza. La realtà, e dunque la verità, non è stata raccontata. Verrebbe da chiedersi, retoricamente: i vertici giornalistici di Saxa Rubra a quali interessi rispondono?  


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