Il Caso Moro. 37 anni fa la strage di Via Fani, il sequestro.

di Euroroma 16/03/2015 CULTURA E SOCIETÀ
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Ogni anno che passa sembra aggiungere un peso a quanto avvenuto nella primavera del 1978 a Roma, quando il 16 marzo le Br rapirono in Via Fani Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, uccidendo cinque uomini della scorta, tenendolo in prigionia per 55 giorni, fino al tragico epilogo del 9 maggio mattina in cui in una Renault 4 rossa fecero ritrovare il suo cadavere in Via Caetani.

Nei giorni dell’anniversario infatti due sono state le “novità” giudiziarie, perché se i processi sono stati celebrati e una verità giudiziaria è stata accertata non altrettanto si può dire della verità storica che vuol dire comprendere pienamente quanto accadde e conoscere esattamente gli avvenimenti alla luce del contesto storico politico. Molti i lati oscuri che, forse non saranno mai, compresi e svelati pienamente.

 Fra di essi il mistero sul covo, fu solo quello di via Montalcini? La base logistica di via Gradoli e quella di via Montenevoso; il ruolo dei servizi segreti, quello del terrorismo internazionale, e poi la lunga serie di questioni che non possono che ripresentarsi puntualmente ogni qual volta ci si domanda sul comportamento che l’allora establishment istituzionale, democristiano in primo luogo, mantenne nei tragici 55 giorni.

 Le novità di cui si è fatto cenno riguardano la recente audizione del nunzio apostolico Augusto Mennini da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso. Da anni in molti hanno sostenuto che la Chiesa ebbe l’opportunità di entrare in contatto con i sequestratori, Papa Paolo VI lo disse pubblicamente alle Br di porsi come intermediario, addirittura per uno scambio. Non fu così ma è certo che contatti vi furono e una delle figure coinvolte è quella del Mennini. L’arcivescovo, numero due dello Ior a lungo era stato allievo di Moro all’università, durante i 55 giorni di prigionia del presidente democristiano era viceparroco della chiesa di Santa Lucia al quartiere Trionfale. Il suo ruolo emerge da alcune intercettazioni telefoniche. Fece da tramite per trasmettere alcune lettere scritte dallo statista e indirizzate a varie persone. Si è sempre ipotizzato che durante il sequestro avesse potuto incontrare Moro nel covo delle Brigate Rosse e addirittura confessarlo e impartirgli l'estrema unzione prima dell'uccisione. Voci confermate autorevolmente addirittura da Francesco Cossiga, l’allora Ministro dell’Interno. Il nunzio apostolico è stato ascoltato grazie all’autorizzazione della Segreteria di Stato vaticana e grazie, pare, al parere favorevole di Papa Francesco. Alla commissione il Mennini ha detto che non è più un mistero che in quei due mesi egli venne contattato dalle Br, da Morucci in persona, ma che il suo ruolo non fu certo rilevante e né fu mai condotto e vide e addirittura confessò Moro nella prigione di via Montalcini.

Si tratta ovviamente di una vicenda che dovrà ancora essere approfondita.

 La seconda questione è quella dei famosi nastri audio registrati dell’interrogatorio che Mario Moretti pose al presidente dc durante la prigionia. 18 mastri di cui si era già a conoscenza nell’autunno del 1978. Nastri spariti poi ritrovati, poi spariti di nuovo. Ora riportati alle cronache. Mai sbobinati in sede giudiziaria. La stessa Commissione d’inchiesta si è affrettata a dichiarare, assieme ad alcuni esponenti politici che evidentemente conoscono bene i riflettori che il caso Moro garantisce, che in quelle registrazioni non vi sia nulla di nuovo o rilevante per l’accertamento dei fatti. Ne mancherebbe una però, e quindi un nuovo piccolo mistero. Anche per questa vicenda si vedrà.

 Dopo trentasette anni, come fin troppo semplice scrivere, il mistero, anzi i misteri del Caso Moro sono ancora tutti lì. Le domande chiare. Le risposte confuse, contraddittorie, ambigue. Un buco nero, come altri che riguardano gli anni del terrorismo, della strategia della tensione, del ruolo dell’Italia nella guerra fredda, che regolarmente si accresce, autoalimentandosi proprio dalle carte, dagli uffici, dalle dichiarazioni dei protagonisti, brigatisti, politici, uomini di Stato, inquirenti, faccendieri, che si sono sedimentate a tal punto da non permettere più di distinguere la verità. Dovere delle istituzioni di questo Paese, di un paese che si dice democratico e libero, è quello di ricominciare a raschiare quei sedimenti e sostenere il peso di riuscire, una volta per tutte, a fare i conti con il proprio passato.



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