Kurt Cobain, vent'anni dalla morte

Il 5 aprile del 1994 nella sua casa di Seattle il suicidio del leader dei Nirvana

di M. L. 05/04/2014 ARTE E SPETTACOLO
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Nella storia dell’Arte ci sono passaggi, momenti, opere che mutano per sempre il corso delle cose. Capita, non spesso, eppure accade. Capitò grosso modo nell’autunno del 1991, quando le radio, le tv di tutto il globo, cominciarono a diffondere il suono e le canzoni di un trio di ragazzi che venivano dall’estremo ovest, tranquillo e piovoso, degli Stati Uniti. La band si chiamava Nirvana, l’album Nevermind.

Pezzi veloci, rabbiosi, dove il punk si mescolava alle tonalità più oscure del rock, eppure confezionati con melodie che lasciavano il segno, mentre una potente sezione ritmica ti ricordava l’essenza del rock n roll. Il successo fu folgorante, i soldi e la fama inondarono i tre; i Nirvana bruciarono le tappe e forse quel successo bruciò irrimediabilmente l’anima inquieta e fragile del cantante. Kurt Cobain non era un leader, non era il leader dei Nirvana, sia perché il bassista Krist Novoselic e il battersita Dave Grohl, avevano carisma da vendere, sia perché quel carisma difettava proprio a Kurt. Un ragazzo che si intuiva timido, che nascondeva la timidezza con l’aria da bullo di periferia. Un ragazzo che qualche problema in gioventù lo aveva avuto, soprattutto nel rapporto con la sua famiglia, ma tutto sommato un ragazzo come tanti. Quel suo essere normale, come normali erano i Nirvana in un mondo come quello delle band statunitensi dove l’epica da rockstar copre e mistifica tutto, li avvicinò ancora di più  alle generazioni dei teen agers di tutto il mondo che sentirono quella vicinanza come il modo più forte, diretto, di esprimere tutta l’angoscia, l’ansia che spesso può circondare l’età dell’adolescenza e della giovinezza. Quell’inquietudine evocata nel nome catartico della band, il nirvana come raggiungimento dello stato di serenità, di quiete. Ma di questo ci si rese conto drammaticamente solo qualche anno dopo, in un giorno d’aprile del 1994.

Prima c’era stato altro. Prima di Nevermind c’era stato il debutto, il bellissimo Bleach e dopo ci fu l’ultimo, In Utero, album quasi da classifica ma dai testi bui e angosciosi, che a leggerli forse, col senno di poi, parlavano di un triste presagio che di li a qualche mese si sarebbe verificato. La critica riconobbe nella band di Seattle, provenivano in realtà dalla vicina Aberdeen, i profeti di un nuovo sound, i capostipiti del “Grunge”, una specie di attitudine alla musica nata mescolando soprattutto la furia del punk con le cavalcate elettriche di gente come Neil Young e con testi dove amore, cuore, sesso, droga, rabbia, politica, società non riuscivano quasi mai a trovare una coesistenza pacifica. I Nirvana come i capofila di una serie incredibile di artisti che in pochi anni si imposero sulla scena rock. Così le classifiche, quelle di Billboard, che per anni erano state appannaggio del suond anni ottanta o dell’hard rock festaiolo e easy, si riempirono dei bellissimi lavori dei Pearl Jam, degli Alice in Chains, degli Screaming Trees, e di altre band che pure non direttamente riconducibili all’area di Seattle ne erano vicine per affinità artistica, vedi Soundgarden. In realtà anche prima dell’esplosione dei Nirvana c’erano state band come i Melvins o i Pixies che già avevano aperto quella strada, strada che però i tre ragazzotti imboccarono a velocità assurda, colmandola con l’invenzione di un mood stilistico originale, immediato, perfetto nel saper coniugare ruvidezza e melodie.

Tutto questo accadeva grosso modo una ventina d’anni fa o poco più, in quei mesi a cavallo degli ottanta e dei novanta che rappresentarono da un parte una specie di reflusso dagli splendori di plastica degli anni dell’edonismo, e dall’altra un velocissimo attimo di speranza che qualcosa stava per cambiare. la fine del Millennio purtroppo non assecondò quella speranza. Per ciò che concerne la musica da allora non è azzardato dire che di novità simili non ne abbiamo più viste e ascoltate, in grado di esprimere medesima qualità, forza espressiva e la capacità di radunare milioni di ragazzi e ragazze ai quattro angoli del pianeta sotto la bandiera del rock.

E così in questa breve e carente resoconto siamo già andati troppo avanti. Perché l’esperienza umana di Kurt Cobain finì in un giorno piovoso di inizio aprile del 1994, quando nella sua casa di Seattle, Cobain decise che poteva bastare così. Si sparò con un fucile. Qualche settimana prima in tournée in Italia Kurt era finito in ospedale per un intossicazione da alcool e psicofarmaci. Col senno di poi si sarebbe detto che ascoltando le sue canzoni e leggendo i suoi testi, quel tragico esito si poteva quanto meno intuire. I fan di tutto il mondo allora però non se l’aspettavano, nessuno, neppure Novoselic e Grohl, potevano immaginare una cosa talmente abnorme, neppure la sua compagna, la musicista Courtney Love. Forse anche perché quando si ascoltano i Nirvana si sente bruciare il fuoco della vita.

 

 

What else should I be?
All apologies.
What else should I say?
Everyone is gay.
What else should I write?
I don't have the right.
What else should I be?
All Apologies.

In the sun
In the sun I feel as one
In the sun
In the sun
Married! Buried!


I wish I was like you
Easily amused
Find my nest of salt
Everything`s my fault
I'll take all the blame
I'll proceed from shame
Sunburn with freezer burn
Choking on the ashes of her enemy

In the sun
In the sun I feel as one
In the sun
In the sun
Married, Buried,
Married! Buried!
Yeah, yeah, yeah, yeah,

All alone is all we are

 

All Apologies

 



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