Strage di Bologna. Chiuse le nuove indagini. L'attentato voluto dalla P2 di Gelli. Tra gli esecutori indagato Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale

di redazione 11/02/2020 CULTURA E SOCIETÀ
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A poco più di un mese dalla sentenza che ha inflitto l’ergastolo per l’ex Nar, Gilberto Cavallini, un altro capitolo giudiziario viene scritto dai magistrati di Bologna sulla strage del 2 agosto 1980.

La Procura generale di Bologna ha chiuso, notificando quattro avvisi di fine indagine, la nuova inchiesta sul massacro nella stazione: 85 morti e oltre 200 feriti. E per gli inquirenti fu voluto dalla P2. Nel registro degli indagati c’è Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore che avrebbe agito in concorso con il “maestro venerabile” della P2 Licio Gelli, con l’imprenditore e banchiere legato alla P2 Umberto Ortolani, con l’ex prefetto ed ex capo dell’ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato e con il giornalista iscritto alla P2 ed ex senatore dell’Msi, Mario Tedeschi. Questi quattro tutti deceduti e ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori, oltre che i concorso con i Nar già condannati: ovvero Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini. I primi tre in via definitiva e l’ultimo in primo grado. Nell’avviso di conclusioni indagini si legge anche “con altre persone da identificare”. La preparazione del massacro, stando agli inquirenti, sarebbe iniziato nel febbraio del 1979 “in una località imprecisata”.

Per inquirenti c’è la P2 dietro il massacro della stazione – Nella nuova indagini entrano quindi piduisti, agenti dell’intelligence e faccendieri. Gelli era stato già condannato come depistatore dell’attentato), ma Ortolani era stato prosciolto. Accusato di essere stato al centro degli intrighi finanziari della loggia, l’imprenditore era sparito inseguito da due mandati di cattura internazionali. Rifugiatosi a San Paolo, il Brasile si era sempre rifiutato di arrestarlo perché cittadino brasiliano. Nel 1996, nel processo a carico della loggia P2, venne assolto dall’accusa di cospirazione politica contro i poteri dello Stato. Nel 1998 la Cassazione invece rendeva definitiva la condanna a 12 anni per il crac del Banco Ambrosiano. Se Ortolani e Gelli vengono considerati mandanti-finanziatori della strage, Tedeschi, già storico direttore de Il Borghese, per gli inquirenti fu organizzatore per aver aiutato D’Amato nella gestione mediatica dell’evento. Anche quest’ultimo con in tasca una tessera della P2 ovvero la numero 1.643. L’esito delle indagini “è nella direzione dei documenti che avevamo predisposto noi per la Procura. Il problema è che sono passati 40 anni, forse se ne potevano risparmiare 10-15 – dice Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime – Ora speriamo che si possa mettere le mani sui mandanti fino in fondo. Bisognerà leggere i documenti, valutare, vedere e questo sarà compito degli avvocati. Mi fa piacere che possa avere efficacia la legge sul depistaggio che ho voluto quando ero in Parlamento”.

 

Le bugie ai pm e il depistaggio: gli altri indagati – Altri tre avvisi riguardano ipotesi di depistaggio e falsità ai pm. Gli altri tre indagati, nell’ambito dell’inchiesta firmata dall’avvocato generale Alberto Candi e dai sostituti pg Umberto Palma e Nicola Proto che hanno coordinato le indagini di Guardia di Finanza, Digos e Ros sono Quintino Spella – ex generale del Sisde – e Piergiorgio Segatel – ex carabiniere – per depistaggio, mentre Domenico Catracchia risponde di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini in corso. Gelli e Ortolani sono indicati quali mandanti-finanziatori, D’Amato come mandante-organizzatore, Tedeschi come organizzatore per aver aiutato D’Amato, nella gestione mediatica della strage, preparatoria e successiva e nell’attività di depistaggio delle indagini.

L’amministratore degli appartamenti di via Gradoli a Roma – Catracchia, amministratore di condominio di immobili in via Gradoli a Roma, avrebbe detto il falso negando di aver dato in affitto un appartamento nella strada romana, tra il settembre e il novembre 1981. Inoltre sarebbe stato reticente, rifiutandosi di spiegare modalità e ragioni per cui Vincenzo Parisi, funzionario di pubblica sicurezza e poi direttore del Sisde, “si serviva di tutta l’agenzia” dello stesso Catracchia e, comunque, non avrebbe spiegato la circostanza, emersa in un’intercettazione ambientale, per cui Parisi si avvaleva dei suoi servizi per l’attività immobiliare. Via Gradoli, la strada romana in cui c’era il covo delle Brigate rosse in cui tenuto sequestrato Aldo Moro nel 1978, era emersa anche nel processo a Cavallini grazie ad alcuni documenti prodotti dalle parti civili. Nella stessa via, infatti, anche i Nar avevano due covi, nel 1981. E gli appartamenti in uso ai terroristi di estrema destra, così come quello delle Br, erano riconducibili a società immobiliari e a personaggi legati ai ‘Servizi segreti deviat’, in particolare al Sisde. Proprio Catracchia sarebbe stato l’amministratore dell’immobile dove si nascondevano le Br oltre che amministratore della società proprietaria dello stabile. E il suo nome ritornò quando furono individuati i covi Nar, a lui riconsegnati in quanto titolare, di nuovo, dell’immobiliare di riferimento.

L’ex dirigente del Side che negò incontro con magistrato – Per gli inquirenti Spella, in quanto dirigente del Sisde di Padova, negò di aver incontrato il 15, il 19 e il 22 luglio e il 6 del 1980 “il magistrato di Padova Giovanni Tamburino” che gli avrebbe riferito di aver saputo da Vettore Presilio, detenuto a Padova, della preparazione di un attentato “di notevole gravità la cui notizia avrebbe riempito le pagine dei giornali di tutto il mondo, nonché del progetto di attentato al giudice Stiz”. 

Segatel, il carabiniere che per gli inquirenti ha mentito – A Segatel viene contestato di aver mentito dichiarando che non era vero quanto raccontato da Mirella Robbio (moglie di Mauro Meli, esponente di Ordine Nuovo). La donna aveva spiegato che Segatel le aveva fatto visita poco prima e poco dopo la strage dicendole che di sapere che la “destra stava preparando qualcosa di veramente grosso” e le aveva chiesto di “riprendere i contatti con l’ambiente del Msi di Genova e, soprattutto, con i vecchi amici di suo marito per cercare di capire cosa fosse in preparazione”. Ma non solo: dopo il massacro il militare sarebbe tornato a trovarla dicendole una frase del tipo: “Hai visto cosa è successo” e facendola sentire in colpa. Segatel invece agli inquirenti, durante un interrogatorio, ha invece sostenuto di essere andato dalla donna per chiederle informazioni sull’omicidio del magistrato Mario Amato (ucciso il 23 giugno 1980) e non per raccogliere informazioni su un possibile attentato. Dichiarazioni, ritenute oggi false da chi indaga, che aveva già fatto nel 1987 davanti al giudice istruttore di Bologna.

Bellini, l’ex primula nera prima prosciolto ora indagato – Paolo Bellini, 66 anni, ex ‘Primula nera’ di Avanguardia Nazionale, era finito nel registro degli indagati dopo la revoca da parte del giudice Francesca Zavaglia del proscioglimento del 28 aprile 1992. Una revoca che era stata richiesta dalla Procura generale che ha avocato a sé il fascicolo di indagine sui mandanti dell’attentato del 2 agosto 1980, 85 morti e oltre 200 feriti. Gli inquirenti avevano selezionato un fotogramma che compare in un filmato amatoriale Super 8 girato da un turista tedesco in cui si notava una “spiccata somiglianza” fra una persona immortalata quella mattina nei pressi del primo binario poco dopo l’esplosione e Bellini. All’epoca, a differenza di quello che avviene oggi con gli smartphone, le riprese amatoriali erano rarissime ed erano realizzate solo da pochi appassionati in possesso di videocamere. Il turista filmò dal treno l’arrivo in stazione sul primo binario, alle 10.13, 12 minuti prima dello scoppio. Poi il video proseguiva, con immagini di poco dopo l’esplosione, e, andando verso la sala d’aspetto, vengono riprese una serie di persone presenti, mentre si inizia a scavare tra le macerie.

Nei mesi scorsi i difensori dei familiari delle vittime, gli avvocati Andrea Speranzoni, Giuseppe Giampaolo, Nicola Brigida e Roberto Nasci hanno avevano depositato in Procura generale una rielaborazione del filmato, recuperato nell’Archivio di Stato, con fotogrammi ingranditi delle varie persone filmate. Uno di questi mostrava una persona con i capelli ricci, i baffi e le sopracciglia folte, simile a com’era Bellini nelle foto dell’epoca a cui inizialmente attribuita una diretta partecipazione nell’attentato. Negò la sua presenza, indicata da due testimoni, a Bologna la mattina del 2 agosto e fornì un alibi che destò sospetti di falsità, come ricordava anche la procura generale nella richiesta di revoca della sentenza, ma fu prosciolto per mancanza di riscontri.


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