Dalla sentenza su Mafia capitale agi incendi di Centocelle. Chi controlla il territorio nella capitale?

di Filippo Piccione 13/11/2019 CULTURA E SOCIETÀ
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Gli attentati di Centocelle, per le modalità con cui sono stati eseguiti, fanno pensare  che vi sia dietro la stessa matrice, la stessa regia, lo stesso movente, gli stessi mandanti. Ferme restando le indagini in corso, condotte dagli inquirenti per individuare i responsabili, non solo l’incendio della libreria “Pecora Elettrica” e del Baraka bistrot”, ma anche le sparatorie degli ultimi mesi potrebbero rientrare in un’unica strategia. Importa poco se questo sia avvenuto per uno scontro fra bande criminali locali che si contendono il controllo del territorio.

I cittadini, i commercianti, il comitato di quartiere e le associazioni di categoria si sono mobilitati per sollecitare una maggiore e più incisiva presenza delle istituzioni per contrastare l’azione  intimidatoria e delinquenziale posta in atto a Centocelle e in altri quartieri periferici di Roma.

Non c’è dubbio che questa escalation delittuosa ha un legame stretto con le mafie.  La mafia oltre il comando ha bisogno continuo di drenare denaro usando tutti i mezzi possibili. Fra quelli più arcaici, come le estorsioni, il traffico e lo spaccio di stupefanti a quelli più sofisticati del riciclaggio del denaro sporco connesso ad altre lucrose attività finanziarie, che qui è superfluo elencare.    

Sappiamo anche che la mafia da tempo ha messo le mani sulle imprese. Molti settori dell’economia sono a rischio per il peso esorbitante del denaro illegale che grava su di essi. Il sociologo Maurizio Fiasco osserva che c’è un cambio di passo anche nelle modalità di riciclaggio a Roma. “Quasi tutti i comparti dell’economia sono in pericolo per il semplice fatto che i clan sono ormai in pianta stabile nel mercato grazie a reti professionali –notai, commercialisti, consulenti, esperti di finanza – che offrono servizi specializzati a chi deve occultare redditi e mantenere attività in nero”. Sono i futuri colletti bianchi della nuova mafia che studiano anche come eludere le leggi sulla tracciabilità.

Non è una scoperta di oggi che sulla base delle riserve gonfiate dal denaro della criminalità organizzata nascono imprese perfettamente in grado di mimetizzarsi e di operare come normali aziende in attività legali. E non è nemmeno una novità che l’ambito dei settori che le comprende (l’alberghiero, le sale da gioco, l’edilizia, i franchising, la ristorazione, la grande distribuzione e l’intermediazione immobiliare) si stia allargando a dismisura, comprendendo i negozi, le piccole attività commerciali e artigianali dislocati sul territorio affidate a bande locali come fonte autonoma di autofinanziamento.  

Data la crescita esponenziale del patrimonio delle imprese che, direttamente e indirettamente, è detenuto dalle cosche mafiose, bisogna prendere atto che il numero delle aziende sequestrate è fortemente in crescita. Secondo l’Osservatorio della Regione sulla Legalità risulta che la mafia ha saputo organizzarsi attraverso una distribuzione tenendo conto delle rispettive propensioni: alimentari e ristorazione alla camorra; l’edilizia e l’intermediazione immobiliare alla ‘ndrangheta, con una quota consistente del mercato ortofrutticolo di Anzio e Nettuno.

Accanto ai giganti della organizzazione mafiosa operano gruppi locali che toccano tutti i settori economici e commerciali.

Con riferimento a quanto accennato prima si tratta ora di capire quale tipo di rapporto si stabilisce fra i capi di queste organizzazioni mafiose e gli esponenti delle “bande locali”.

Non si può escludere che molti degli stessi autori dei roghi di  Centocelle e delle sparatorie avvenute nella Capitale siano arruolati nell’esercito delle mafie per il controllo del territorio. Le mafie, pur utilizzando i mezzi più raffinati nel campo della finanza e della digitalizzazione, sanno che non possono fare a meno di ricorrere a metodi di intimidazione tradizionali che, come dimostrano gli ultimi episodi, si rivelano ancora efficaci nel condizionare la qualità di vita dei cittadini.

Vale a questo punto la pena fare anche un cenno ai beni e ai patrimoni sequestrati ai mafiosi. A Roma essi sono l’equivalente di 4 miliardi di euro, mentre la Guardia di Finanza ha segnalato danni erariali per un importo pari a 7,5 miliardi.

In pochi anni è cambiato l’ordine di grandezze dei valori dei sequestri e il numero di imprese, all’incirca 500, sono gestite dal Tribunale, che è diventato il più grande imprenditore di Roma. La gestione dei beni sequestrati è un aspetto importante del fenomeno. E per questa ragione è necessario avvalersi di manager, onesti, e in grado di guidare la transizione e la rigenerazione delle aziende sequestrate e soprattutto assicurare il posto di lavoro garantendo  i diritti dei lavoratori.

Le associazioni antimafia, da parte loro, dovrebbero impegnarsi a far crescere queste figure professionali e sostenere gli sforzi delle imprese sequestrate ai boss. “E’ importante far ripartire la collaborazione con tutti i soggetti in campo” hanno ribadito alcuni dirigenti in un recente vertice della Camera di commercio di Roma.

Con l’avvertenza di non dimenticare mai le pagine buie che sono state scritte da  “Antonello Montante, ex presidente di CONFINDUSTRIA della Sicilia, il quale è stato il motore immobile di un meccanismo perverso di conquista e gestione occulta del potere, che sotto le insegne dell’antimafia iconografica, ha sostanzialmente occupato, mediante la corruzione e le raffinate operazioni di dossieraggio,  molte istituzioni regionali e nazionali”. Questo passaggio è scritto nelle motivazioni della sentenza che lo riguarda.

L’altra pagina è stata scritta dall’ex magistrato Silvana Saguto ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, accusata di aver gestito illecitamente le procedure di designazione degli amministratori giudiziari dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.     

 


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