Maria José, l'immigrata divenuta cittadina italiana

di Filippo Piccione 26/10/2019 CULTURA E SOCIETÀ
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 Il Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, Maria José Mendes Evora, ha scritto un libro autobiografico intitolato Trentotto anni di racconti – Storia di una donna migrante- Edizione Albatros (euro 13,90).

Nel corso della festa de l’Unità, svoltasi presso l’ex Mattatoio a Testaccio nel luglio scorso, ho partecipato alla sua presentazione e ho avuto modo e la fortuna di conoscere l’autrice. Il libro, introdotto magnificamente da Draga Rocchi, non era purtroppo disponibile. La casa editrice ne aveva stampate poche copie e per procurarsene una bisognava chiederlo in libreria e aspettare alcuni giorni. Cosa che ho fatto l’indomani.

Il desiderio di ascoltare Maria José è stato preminente. Ma prima che lei prendesse la parola era passato del tempo, quello dedicato ad altri presentatori. E mentre loro parlavano, io osservavo lei, il suo sguardo attento e intelligente, la sua postura ferma ed elegante. Ebbi subito la sensazione che quella donna avrebbe riservato delle sorprese. Che furono puntualmente confermate. Anzitutto la chiarezza della sua esposizione e la puntualità e l’efficacia con cui argomentava. Ma anche, a colpire in particolare, era l’uso del suo italiano perfetto. Riflettendoci bene mi ero reso conto che per arrivare a quel livello di padronanza di linguaggio occorreva un impegno notevole che può  essere profuso soltanto da chi intende dimostrare legittimamente e orgogliosamente di far sua la lingua del paese cui aspira di diventare cittadino. Non esiterei a definire, anche per questi aspetti, Maria José Medes Evora, una donna eccezionale.

Quale altro aggettivo, se non questo, o un suo sinonimo,  potrebbe essere utilizzato nei suoi confronti.

Nata nell’Isola di Boa Vista (Capo Verde) nel 1979 decide di trasferirsi in Italia, senza rinnegare la sua cultura e le sue origini.

Per un breve periodo Maria José approda a Napoli, poi si stabilisce definitivamente a Roma. Lavora come collaboratrice domestica e contemporaneamente riesce a  portare a termine il suo percorso di studi iniziato nella sua città natale. Si scrive alla scuola portoghese di Roma, poi alla facoltà di Scienze Sociali presso l’Università Gregoriana. Consegue la laurea e subito dopo acquisisce il titolo di Dottorato in Scienze Sociali presso la Pontificia Università San Tommaso D’Aquino “Angelicum”. In tutto questo arco di tempo Maria José non si risparmia. Fortemente impegnata sul fronte dell’associazionismo, fonda l’Associazione I nostri diritti (No. Di.) ricoprendo ruoli di primo piano dal 1998 al 2003.

Nel 2001 Carlo Azeglio Ciampi le conferisce l’alta Onorificenza di “Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Un riconoscimento che si era  guadagnato sul campo e che poi le permetterà di chiedere e ottenere la cittadinanza italiana che le sarà certificata formalmente  nel marzo 2013.   

 Ma non è solo il titolo onorifico - che ha la sua rilevanza specie in un contesto nel quale è stato conferito – a spingermi a scrivere la presente nota. E’ il fatto che avendola ascoltata e poi letto con attenzione e, in alcuni passaggi con commozione, il suo libro, ho conosciuto la meravigliosa storia di Maria José.

Una storia che non è una somma di  testimonianze di una donna venuta da lontano per trovare un lavoro, contribuendo in parte a sostenere la famiglia di origine o per riprendere gli studi e riscattarsi da una condizione di difficoltà economica e culturale. C’è tutto questo. Ma c’è anche  un altro pezzo di  storia  che è frutto della sua mente feconda, capace di elaborare  un progetto migratorio  che realizza anno dopo anno, esperienza dopo esperienza, confronto dopo confronto, portandola a oltrepassare  le sue stesse aspettative.

Un esempio per tutti coloro che si occupano di migrazione. Una lezione per chi di questo tema ne fa un motivo strumentale e demagogico. Un  monito per le istituzioni che sono chiamate ad affrontare il problema con serietà e impegno e che spesso si rivelano  carenti e deludenti.

Il libro offre un’infinità di aspetti da quello letterario a quello narrativo da quello lessicale a quello sentimentale da quello della lotta per il riscatto a quello del riconoscimento dei diritti umani e sociali nei confronti di ogni persona ovunque viva e operi.

In questo quadro un posto rilevante è occupato dai legami d’affetto e d’amore per i parenti che vivono nella sua meravigliosa Isola, cui un giorno Maria José vorrebbe ritornare, e i rapporti con i “miei concittadini, i loro figli e i loro nipoti che sono entrati a far parte della mia vita e che hanno deciso di vivere in altre città, la maggior parte a  Milano e a Genova”.

Ma il racconto autobiografico di Maria José contiene alcuni concetti importanti riguardanti, nello specifico, l’emigrazione. La stesso termine “integrazione”, che quasi sempre viene adoperato disinvoltamente, sia nel linguaggio comune che nei testi normativi, secondo l’autrice non esprime compiutamente il significato che  se ne vuole dare,  in quanto si tratta di un processo biunivoco che deve trovare il sostegno al protagonismo cooperativo dei migranti e delle associazioni, senza i quali si rischia una regressione. Più che d’integrazione l’Autrice preferisce parlare di “interazione”, senza la “g”.

“Con la conoscenza reciproca molti disagi spariranno e, pian piano riusciremo a dare uno schiaffo alla discriminazione, al razzismo e ad altre forme di intolleranza”. E a proposito di tolleranza Maria Josè vuole esprimere una sua ragionata opinione, che noi condividiamo: “se dobbiamo tollerare qualcuno, sembra che alla base debba esserci uno sforzo”.  Invece è meglio parlare di “convivenza”, quella forma naturale che serve a tenere in vita una comunità degna di questo nome”.

Voglio ringraziare il Cavaliere Maria José Mendes Evora invitando quante più persone a leggere il suo bel libro.


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