Midsommar. Il villaggio dei dannati

Un film girato con l'occhio dell'antropologo che ci getta in un'atmosfera onirica, lisergica e sonnolenta.

di EMILIANO BAGLIO 29/07/2019 ARTE E SPETTACOLO
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Come nel precedente, meraviglioso, Hereditary (http://www.euroroma.net/7049/ARTEESPETTACOLO/hereditary-le-radici-del-male.html) anche nel nuovo film di Ari Aster al centro di tutto c’è un lutto col dolore che ne consegue.

Stavolta ad essere marchiata a fuoco dalla tragedia è Dani (Florence Pugh).

Forse proprio per questo, oltre che a causa dei sensi di colpa e per evitare ulteriori discussioni, il suo ragazzo Christian (Jack Reynor) decide di proporle un viaggio in Svezia.

Christian ed i suoi amici, Mark (Will Poulter) e Josh (William Jackson Harper), sono stati invitati da Pelle (Vilhelm Blomgran) ad assistere alla grande festa di mezza estate che si svolge nel suo villaggio natale.

Sembra la classica situazione tipica di mille horror, con il gruppo di ragazzi, rigorosamente americani, alle prese con un viaggio nel vecchio continente a base di alcool, droghe e sesso facile.

Ma per Aster l’horror è poco più di un giocattolo con il quale baloccarsi per dare vita alla sua idea di cinema.

Gli stessi protagonisti di Midsommar non sono altro che puri stereotipi.

C’è la coppietta di fidanzati, Simon e Connie, interpretati da Archie Madekwe ed Ellora Torchia, invitata lì da un compaesano di Pelle.

C’è lo scemo del gruppo (Mark) con l’inseparabile sigaretta elettronica che pensa solo alle belle ragazze e finisce col pisciare su di un albero sacro; l’intellettuale (Josh) ed il ragazzone (Christian).

Carne pronta per essere macellata in un gioco al massacro in cui i ruoli ed i destini sono chiari sin da subito.

Sennonché al regista di tutto questo non importa assolutamente nulla.

Il viaggio dei nostri eroi in realtà li porterà in un’altra dimensione, in una sorta di mondo capovolto (come lascia intendere la bellissima inquadratura rovesciata della loro auto sulla strada).

Inizialmente, Hårga, il villaggio dove è cresciuto Pelle, assomiglia ad una comune hippie dove tutti vivono liberi, felici e a contatto con la natura.

In realtà il film narra un vero e proprio percorso lisergico scandito dai funghi allucinogeni che getta lo spettatore in un’atmosfera sempre più onirica e sinistra scandita da ritmi volutamente dilatati che fanno assomigliare il film ad un dormiveglia fantastico.

Ari Aster descrive questa comune con lo stesso sguardo di antropologo dei suoi protagonisti, studenti universitari proprio di tale facoltà, descrivendocene gli strani usi e costumi.

La maggior parte delle cose che accadono rimarrà misteriosa, Aster non spiega praticamente nulla caricando la pellicola di continue false piste in una sovrabbondanza di simboli, luoghi misteriosi e fantastici e personaggi oscuri.

Persino gli omicidi rimangono fuori campo.

Le attese dello spettatore vengono continuamente deluse e frustrate, siamo anni luce lontani dagli horror rassicuranti a base di facili spaventi fatti tutti con la fotocopia pronti per fare incassi record al botteghino.

Magari la totale mancanza di appigli sarà anche stata causata dagli oltre 90 minuti tagliati (30 dei quali dovrebbero finire nel director’s cut destinato al dvd), fatto sta che Ari Aster si riconferma un cineasta fieramente fuori dalle mode e dalle convenzioni, deciso ad esporre il proprio mondo interiore incurante delle aspettative del pubblico.

A nostro avviso stavolta si rischia persino di rimanere scottati ed indifferenti rispetto a questo sonnolento trip che sembra una vera e propria seduta di psicanalisi, costellato di formidabili invenzioni visive che però alle volte sembrano girare a vuoto su sé stesse.

Certo, volendo, si possono ritrovare le tante influenze presenti; The village di Shyamalan, The sacrament di Ti West e soprattutto quel gioiello di The wicker man di Robin Hardy.

L’impressione però è che la risata finale di Dani sia la stessa di Aster che sogghigna compiaciuto del tiro giocato al pubblico.

Resta da vedere se gli spettatori intorpiditi ed anestetizzati da anni di horror privi di idee, apprezzeranno la sfida.

Se rimarranno intrappolati come insetti nella rete, viscosa come il miele, tessuta lentamente da questo film.

Noi, nonostante le riserve, lo scarso coinvolgimento emotivo e la sensazione di fredda esibizione di talento, ci auguriamo comunque che Ari Aster continui su questa strada.

Che prosegua nello spiazzarci e stupirci fregandosene delle nostre aspettative e dei nostri desideri.

In fondo è questo quel che cerchiamo nel cinema.

 

EMILIANO BAGLIO

 


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