Venti anni fa la strage della funivia del Cermis. Un caccia americano tranciò il cavo della cabina. Venti morti, nessun colpevole.

di redazione 03/02/2018 CULTURA E SOCIETÀ
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Erano le 15 e 13 del 3 febbraio 1998, il pilota di un aereo militare statunitense, volando ad una quota ben più bassa del consentito, tranciò il cavo di scorrimento e sostegno della funivia del Cermis causando la morte di venti passeggeri e del macchinista della funivia. 

I responsabili di questo massacro, i quattro militari dell’equipaggio, avrebbero dovuto essere processati in Italia, ma invece così non avvenne.

marine furono processati negli Stati Uniti, da un tribunale militare.

Fu così che i due addetti ai sistemi di guerra elettronica del Grumman EA/6B non vennero neanche processati, perché ritenuti innocenti dal Procuratore. Mentre nella sentenza furono assolti il pilota ed il navigatore.

Beffa finale fu, nel marzo 1999, il documento conclusivo della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle responsabilità relative alla tragedia, dove si legge che “questo era un incidente che era destinato ad avvenire, senza responsabilità alcuna dell’equipaggio”…

A nessuno sembrò casuale che di lì a poco gli Stati Uniti acconsentirono all’estradizione in Italia dell’attivista Silvia Baraldini, fortemente sostenuta dai movimenti e dai partiti della sinistra al governo, da anni detenuta in America per vari reati: contropartita risarcitoria per l’impunità della strage del Cermis?

Sono in molti a pensarlo anche se si tratta solo di un’ipotesi. In compenso, l’Aereonautica Militare ha stampato qualche l’anno scorso un libro sui 100 anni dell’aeroporto di Aviano, “dimenticandosi” tuttavia di citare la strage del Cermis

Nella strage del Cermis hanno perso la vita venti persone. Sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci, un olandese e tre italiani. L’aereo militare statunitense Grumman EA-6B Prowler della United States Marine Corps lì non ci doveva stare. Erano chiare e limpide le disposizioni sui voli a bassa quota nella zona. Mai al di sotto dei 600 metri. Quel giorno invece il pilota Richard Ashby, insieme al suo navigatore Joseph Schweitzer e agli altri membri dell’equipaggio (William Rancy e Chandler Seagraves) scese a quota 110 metri. Perché? Per gioco, si ipotizzò, per filmare il panorama e farsi due risate prima di rientrare alla base di Aviano. Un azzardo fatale per i passeggeri della funivia che collega Cavalese con la montagna del Cermis. L’immagine simbolo di quel dramma fu scattata subito dopo lo schianto della cabina. Una striscia di sangue a colorare la neve. Una pennellata di morte.

«Quando ci hanno detto che avevamo ucciso così tante persone ho pianto come un bambino. Mi sono chiesto perché noi siamo vivi e loro sono morti. Ho bruciato la cassetta. Non volevo che alla Cnn andasse in onda il mio sorriso e poi il sangue delle vittime». L’aver bruciato la cassetta di cui racconta nell’inchiesta del National Geographic del 2012 è l’unica cosa per cui Joseph Schweitzer,il pilota statunitense, è stato condannato. Non per aver causato la morte di 20 persone vent’anni fa sul Cermis in Trentino.

Mauro Gilmozzi era allora sindaco di Cavalese e quella strage associa oggi quattro parole: «Cordoglio, giustizia, ricostruzione e memoria attiva». Il primo fu immediato. «Il sindaco è fra le prime persone chiamate in un caso del genere. Si attivarono tutti: la protezione civile, i soccorsi di tutta la provincia». L’impegno doveva andare soccorso e aiuto. «Con vittime da tutta Europa bisognava dare sostegno ai familiari delle vittime Ricordo benissimo la grande capacità della comunità di Cavalese di aver dato accoglienza e cordoglio ai familiari delle vittime».

 La vera strage si compì così nei tribunali statunitensi. L’allora presidente Usa Bill Clinton si scusò con il governo italiano, ma non concesse ai quattro ufficiali di essere giudicati in Trentino. Le disposizioni Nato spostarono l’inchiesta negli States e la corte marziale sancì la vergogna. Nessun colpevole, nessuno ha commesso il fatto. 

Schweitzer e Ashby vengono cacciati dai Marines per aver distrutto il filmato girato durante il volo. «Intralcio alla giustizia» dissero i giurati, ma parlare di giustizia a Cavalese fa quasi ridere. Quasi, se non ci fossero quelle venti vittime inermi distese sulla neve. Ai loro familiari il governo statunitense, con la partecipazione di quello italiano, fecero avere un risarcimento di circa 4 miliardi di lire a famiglia. Il tentativo di coprire con il verde dei dollari il rosso del sangue. Volete l’ennesima beffa? Provate a scrivere “strage del Cermis” su Google: il primo sito consigliato è una pagina di Wikipedia dove però l’evento viene descritto come “incidente della funivia”. Se il peso delle parole ha ancora un valore, ridurre a incidente un fatto di tale portata è come gettare polvere sotto il divano. 

Nel 2008, a dieci anni dalla strage, il National Geographic mise spalle al muro Joseph Schweitzer: «Ho distrutto il filmato – ammise – perché non volevo che la tv mandasse in onda il mio sorriso e subito dopo il sangue dei morti». Quel sangue però c’è ancora, dipinto indelebile nella testa dei parenti delle vittime e di tutti i cittadini delle valli alpine. Ricordare quello che successe a Cavalese è un obbligo morale per ogni cittadino, un tassello imprescindibile nel mosaico della storia recente del nostro Paese.

 La magistratura italiana chiese di processare i quattro marines in Italia, ma per la Convenzione di Londra del 1951 il processo penale toccava agli Usa, alla procura militare. Rimaneva in Italia il processo civile. «La richiesta di giustizia è stata subito forte – dice Gilmozzi – e non è arrivata. Hanno assolto i piloti per il fatto e li hanno condannati per aver cancellato le prove. In Italia la commissione parlamentare di inchiesta è arrivata a stabilire la dinamica, ma è servito per gli accordi per i risarcimenti». Il governo americano li aveva fissati a 40 milioni di dollari rimborsati però solo per il 75% allo Stato italiano e alla provincia autonoma di Trento che se ne erano presi carico.

Un successo si può contare, l’aver ottenuto la regolamentazione del volo a bassa quota. Per il sindaco è arrivato subito dopo il problema della ricostruzione. L’impianto era necessario per l’economia del paese. Ne è stato fatto uno nuovo per il Cermis. Anche se quella funivia non funziona più il ricordo non si è cancellato.


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