'NDRANGHETA. 65 ARRESTI COINVOLTI ANCHE POLITICI

di Redazione Euroroma Notizie in breve

Gravitano nell'orbita di clan che hanno scritto di proprio pugno la storia della 'ndrangheta e dall'Australia alla Calabria, passando per la Lombardia, si sono dimostrati in grado di dominare la vita economica e politica di intere comunità. Ma soprattutto di mettere a libro paga politici e rappresentanti istituzionali, fra cui il neoeletto consigliere regionale di Fratelli d'Italia Domenico Creazzo, sindaco di Sant'Eufemia e vicepresidente del parco dell'Aspromonte, finito ai domiciliari anche per gli spasmodici tentativi di ramazzare preferenze per le regionali del mese scorso e il senatore Marco Siclari di Forza Italia per il quale è stata presentata richiesta di autorizzazione a procedere. SInsieme a Creazzo e Siclari, travolti dall'inchiesta anche diversi politici locali, arrestati in qualità di esponenti del clan.

In totale sono sessantacinque fra capi, gregari e uomini a disposizione del clan Alvaro, le persone arrestate questa mattina all'alba dagli agenti della Squadra Mobile di Reggio Calabria e del commissariato di Palmi. Su richiesta della procura antimafia guidata da Giovanni Bombardieri e per ordine del Tribunale in 53 sono finiti in carcere e 12 ai domiciliari, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, diversi reati in materia di armi e di sostanze stupefacenti, estorsioni, favoreggiamento reale, violenza privata, violazioni in materia elettorale, aggravati dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la 'ndrangheta, nonché di scambio elettorale politico mafioso. "Emerge uno spaccato della politica locale che non ci fa onore - dice il procuratore capo  Bombardieri -  un mercanteggiare dei voti e una richiesta di consenso elettorale indipendente da aspirazioni ideologiche e politiche"

Per il senatore Siclari, la richiesta di arresti domiciliari è subordinata all'autorizzazione a procedere su cui il Senato sarà chiamato ad esprimersi. Ma gli elementi a suo carico sono pesanti e chiarissimi. "Questo qua è in Forza Italia ... questo amico mio ... questo è un dottore, Marco Siclari, di qua, quello che ha i supermercati qua a Reggio e cose, ed è a Roma! E' un amico nostro questo ... è un medico!" spiegava ai suoi il "rappresentante elettorale dei clan", l'imprenditore Domenico Laurendi. Ma non è stato lui a cercare il politico, ma il senatore che, tramite un mediatore - il dottore Domenico Galletta, massone regolarmente iscritto al Goi - ha sollecitato l'appoggio dei clan di Sant'Eufemia.

Un sostegno poi discusso anche personalmente nel corso di un incontro organizzato alla segreteria politica del candidato, durante il quale i patti sono stati chiariti. E Siclari, scrive il gip "era consapevole dello "status" dello ndranghetista di Laurendi e fu infatti per questa ragione che scelse di vederlo privatamente in forma riservata, all'interno della sua segreteria politica, per evitare ripercussioni che avrebbero potuto avere un effetto boomerang durante la campagna elettorale". Così come sapeva che l'appoggio della 'ndrangheta non sarebbe stato gratis. Anche perché nella corsa per il Senato, Siclari ha raccolto percentuali bulgare, persino "più del candidato del paese" quel Luigi Fedele (non indagato), ex consigliere e assessore regionale di Forza Italia, all'epoca capolista per il partito "Noi per l'Italia" e candidato del clan alla Camera. "Forza Italia gli meni nel Senato e via, alla Camera c'è Luigi" erano le istruzioni di Laurendi 


Ma nonostante i numerosi consensi, Fedele ha mancato l'elezione. E allora è a Siclari che sono arrivate le richieste dei "signori di Sant'Eufemia" a partire dal trasferimento di una dipendente di Poste italiane, dal Nord Italia a Messina. Una questione - spiega intercettato il mediatore Galletta a Laurendi - che Siclari avrebbe risolto tramite "l'onorevole Antonio Tajani, che aveva un contatto con un soggetto di Riccione che avrebbe potuto risolvere la vicenda nel senso auspicato dal mafioso". Ed in effetti, per la signora è stato creato un posto ad hoc. In un altro caso, la richiesta è stata l'assunzione del figlio di Laurendi, da collocare in un non meglio precisato ufficio pubblico. Altre ancora - annotano gli inquirenti nelle carte - potrebbero essere state avanzate, ma l'impossibilità di intercettare il senatore e una sua maggiore prudenza nella gestione dei contatti hanno impedito agli investigatori di approfondire.

Cautele che non hanno mai osservato il neoconsigliere regionale Domenico Creazzo e suo fratello Antonio, che gli Alvaro si sono incontrati persino all'interno del palazzo comunale. Spregiudicato, il neoconsigliere Creazzo, passato dal centrosinistra al centrodestra, voleva a tutti i costi essere eletto in Consiglio regionale e per di più con una percentuale di voti tale da poter pretendere un ruolo. Con i suoi si vantava di essere "corteggiato da tutti i partiti" ma di preferire la Lega, dove però alla fine non ha trovato spazio, parcheggiandosi in Fratelli d'Italia. Ma ancor prima di scegliere il partito con cui correre, Creazzo aveva già stretto un patto con la 'ndrangheta. E per lui la 'ndrangheta, ha ramazzato voti trasversali alle sigle, strappando l'appoggio di pezzi di Lega, grazie al ginecologo Nino Coco, sorpreso a chiacchierare in un ristorante di lusso con il rappresentante elettorale dei clan,  e di Carmelo Palamara, capo segreteria del Presidente del gruppo di Forza Italia nel Consiglio Regionale Calabrese e per lungo tempo uomo di fiducia dell'ex consigliere regionale Alessandro Nicolò, arrestato per mafia nell'agosto scorso. Chiarissimo fin da subito è stato il "prezzo" dell'appoggio nelle urne: "aggiustare" il processo d'appello Xenopolis, in cui Laurendi era imputato dopo la condanna in primo grado.





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