Festa del Cinema di Roma. A prayer before dawn. Regia: Jean-Stéphane Sauvaire. Tutti ne parlano.

di Emiliano Baglio 03/11/2017 ARTE E SPETTACOLO
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A prayer before dawn. Regia: Jean-Stéphane Sauvaire. Tutti ne parlano.

 

Tratto da una storia vera A prayer before dawn narra la storia di Billy Moore (Joe Cole), pugile di origine inglese, drogato e spacciatore, che finisce in una prigione tailandese per possesso di droga. La sua salvezza verrà dalla boxe tailandese.

 

Alle volte con il cinema è tutto un problema di aspettative. Si legge una recensione positiva su di una rivista della quale ci si fida e si comincia ad aspettare con ansia di poter vedere quel film.

Per chi scrive con A prayer before dawn le cose sono andate così ma i risultati sono stati totalmente deludenti.

Sinceramente non ho mai visto né un film di boxe né uno ambientato in una prigione così deludente.

L’opera di Sauvaire ha il sapore dell’occasione mancata soprattutto se si pensa all’esplosivo materiale di partenza.

Quella di Billy Moore è una vera e propria discesa agli inferi. Perennemente strafatto di eroina il pugile si ritrova a dover fare i conti con una realtà dove regnano sovrane la violenza e la sopraffazione. Le carceri tailandesi sono un luogo marcio dove stupri e suicidi sono all’ordine del giorno. Le guardie sono brutali tanto quanto i carcerati e non mancano punizioni corporali (suggerite solo attraverso l’uso del suono) o reclusioni in celle d’isolamento che ricordano le atrocità di Papillon.

Lo spaesamento del protagonista è amplificato dal fatto che non parla il tailandese ed intelligentemente il film non sottotitola le parti parlate in tale lingua trasmettendo questa sensazione allo spettatore.

Eppure nonostante le atrocità si susseguano in un’ambientazione che assomiglia ad un formicaio umano privo anche delle più elementari condizioni igieniche il film non offre mai nessun sussulto.

Se paragoniamo A prayer before dawn a titoli quali Fuga di mezzanotte o al più recente Il ribelle – Starred up, l’abisso salta agli occhi.

Lo stesso dicasi per gli incontri di boxe ma qui la colpa è di un uso eccessivo della camera a mano che rende l’azione confusa. Forse il regista voleva trasmettere la violenza repressa e la brutalità di questi incontri ma alla fine essi risultano solamente confusi e fastidiosi.

Anche qui il taglio classico di pellicole quali Toro scatenato o Rocky dimostrano palesemente i limiti dell’opera di Sauvaire che non riesce mai a trasmettere la benché minima emozione al pubblico ma rimanendo, sino alla fine, fredda ed anonima.

EMILIANO BAGLIO


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