Gentiloni e il referendum della CGIL sul Jobs act. Il Pd al bivio. Mediare o rischiare di perdere un altro Referendum?

di redazione 15/12/2016 POLITICA
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"Se si vota prima del referendum il problema non si pone. Ed è questo, con un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo, lo scenario più probabile. Sulla data dell'esame della Consulta è tutto come previsto".

Queste parole del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, all'Ansa sui rischi che il voto sul referendum proposto dalla Cgil possa essere un ulteriore problema per il Pd e per il neo governo, hanno scatenato un putiferio tra la sinistra dem, i sindacati e le forze progressiste presenti in Parlamento. Ma rappresentano anche la più evidnete manifestazione di quanto il Governo Renzi e l’attuale, a tutti gli effetti un Renzi Bis, siano distanti dai temi del lavoro e dei diritti sui luoghi di lavoro.

 La replica della Sinistra Dem: "Più che invocare le urne per evitare che si svolga il referendum - dice Roberto Speranza - è necessario intervenire subito sul Jobs act, a partire dai voucher". 

 Intanto è stata resa noto che La Corte costituzionale esaminerà nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2017, in aggiunta alle altre cause già fissate, l'ammissibilità delle richieste relative a tre referendum abrogativi tutte concernenti disposizioni in materia di lavoro, comprese misure presenti nel Jobs Act. Le richieste sono già state dichiarate conformi a legge dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione, con ordinanza depositata il 9 dicembre 2016. Se la Consulta dichiarerà l’ammissibilità si andrà a votare in una data compresa fra il 15 aprile e il 15 giugno.

Così il referendum promosso dalla Cgil con 3,3 milioni di firme con l’obiettivo di ripristinare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, cancellare i voucher (ribattezzati dal sindacato «la nuova frontiera del precariato»), riesumare la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante, in caso di violazioni nei confronti del lavoratore, appare da qui alle prossime settimane la nuova bomba ad orologeria sul cammino sia del Governo Gentiloni sia sugli assetti interni al Partito Democratico.  

 Una bomba sotto il Jobs Act, una delle punte di lancia dell’esecutivo Renzi che ha aperto una guerra con il sindacato guidato da Susanna Camusso e ha fatto scoppiare una furiosa polemica tra i Democratici.

La distanza fra i gli ultimi due governi e il sindacato è al momento incolmabile sulla questione articolo 18, e c’è da scommettere che dopo la batosta del 5 dicembre, siano in pochi all’intero del Pd a volere mettere la faccia sul No al referendum per il rispristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

 Il tema è stato sollevato da Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro, ieri mattina all’assemblea dei deputati del Pd. “Attenzione, è un problema enorme da non sottovalutare”, ha detto dopo aver avuto un colloquio con il ministro Dario Franceschini, presente alla riunione del gruppo parlamentare Pd. Franceschini ha chiesto delucidazioni e l’ex sindacalista e ministro del lavoro gli ha spiegato che è necessario al più presto affrontare questa rogna enorme.

La verità, ad oggi, è che il jobs act sarà nei prossimi mesi sempre meno difendibile e il buon senso, casomai ve ne fosse ancora dalle parti del Nazareno, dice che probabilmente qualcosa dovrà essere ritoccato, come già previsto per la tanto criticata riforma della Buona Scuola.

 Al calderone si aggiunge la Confindustria che tramite il presidente Vincenzo Boccia. Fa sapere: “Se non prendiamo posizioni su alcune cose l'ansietà del sistema Paese di giorno in giorno aumenta. I consumatori non consumano, gli investitori attendono e questo è un problema. Abbiamo fatto il Jobs act adesso c'è il referendum. Se arriva il referendum cosa accade? Io imprenditore attendo e non assumo. Questi sono i capolavori italiani dell'ansietà e dell'incertezza totale e i motivi per i quali gli imprenditori italiani sono i più bravi al mondo perchè vivono in condizione di perenne incertezza". 

 Mentre per la Camusso; “Vale il merito e non la data". Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, a chi le chiede della tempistica tra il referendum sul Jobs Act e la possibilità di nuove elezioni politiche. A chi le chiede delle ipotesi di rinvio della consultazione, come emerso dalle parole del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, Camusso risponde: "Mi pare dotato di una sfera di cristallo". Per la leader della Cgil insistere sullo slittamento del referendum significa: "Non avere il coraggio di affrontare i problemi".

 La strategia di Renzi è che si arrivi allo scioglimento delle Camere per andare a votare a giugno: la data è quella dell’11 giugno. In questo caso la legge parla chiaro: i quesiti referendari vanno congelati e spostati di un anno perché non si possono tenere insieme elezioni politiche e referendum. La via più semplice. Una soluzione che però deve fare i conti con la riluttanza del presidente della Repubblica a sciogliere le Camere e con i tempi del varo delle nuove leggi elettorali per Camera e Senato. C’è chi, infatti, vorrebbe correre, iniziare a discutere subito, prima del giudizio della Consulta sull’Italicum. Scegliendo la soluzione apparentemente più facile: tornare al Mattarellum.

 
Ecco perché non è escluso che nelle prossime settimane, di fronte all’incertezza sulla reale durata del governo Gentiloni, dal governo si pensi di modificare il Jobs act, rivedendo ad esempio le norme sui voucher.

 

 



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