Tutto, compreso il Blue Monday, tranne la città che abita anche me

di Settembre 19/01/2016 TRANNE TUTTO
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Invece di far uscire TranneTutto tutti i giorni tranne di lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e di domenica, va a finire che il sabato mi ritrovo senza nemmeno il tempo di grattugiare il pecorino nei sacchetti, quelli da mettere in freezer. È che in realtà ho sgomitato pure parecchio per [provare a] far parte di quella categoria di persone che la mattina si sveglia alle sette e torna a casa, se va bene, per l'ora del dopocena. Perché ci tengo ad essere promiscua, un po' stereotipata, ma concreta, mi affascina il tesserino da timbrare, insomma, rimanere al passo con la società. E pagarmi l'affitto.

Quindi, questa rubrica ha vacillato per tutto il week end, perché ho effettivamente passato una settimana così: uscivo di casa alle sette e tornavo giusto per vedere i titoli di coda di BlobCosì, non avendo avuto modo di scrivere nulla, con i paragrafi e tutto il resto, nell'ultima settimana, mi sono messa a fare delle statistiche, durante i tragitti tra il 90 e l'81.

Per esempio, il primo giorno, dopo aver fatto due conti, ho scoperto che in sette giorni avrei passato ben 24 ore sui mezzi.  Allora mi sono organizzata, dico, per far stare delle cose in quella giornata spezzettata tra un bus e l'altro. 

Ho letto molto (considerando anche i sanpietrini sotto le gomme, i posti non sempre disponibili, le puzze, quelli che parlano al telefono come fossero a casa propria, i bambini), tanto da ricominciare e finire le città invisibili di Calvino, un romanzo chiamato La spiaggia di Cesare Pavese e iniziarne un altro di Annie Vivanti. 

Poi, ho corretto alcuni documenti da mandare all'INPS, tradotto parte del romanzo di un autore russo adocchiato tempo fa, chiacchierato del più e del meno con un gruppetto di suore e chiamato due volte il 118 per una signora che da un momento all'altro è scivolata a terra urlando «La rotula! La rotula!» («Oddio, é incinta?» «NO! Mi è uscita la rotula!» «Chiamate un'ambulanza!» e poi: «no no, tutto a posto, è rientrata, la rotula, è a posto.». Per questo due volte). Ho anche conosciuto un uomo, che gentilmente si è scusato per avermi sfiorato con il gomito e poi scendendo mi è passato sopra il piede con i suoi anfibi lucidi, senza nemmeno voltarsi. 

Alla fine c'era tanto di quel tempo ancora, per guardare fuori dai vetri le persone e le frutterie, gli abeti nei vasi agli angoli dei cassonetti dell'umido, i cartelloni pubblicitari fluorescenti - quelli dei circhi, le macchine parcheggiate in tripla fila, il marmo e i lavori i corso senza lavoratori.  E mi è venuto da scrivere, finalmente, oltre che delle statistiche, pure delle cose che sembravano poesie, perché è così che si fa di sti’ tempi. 

Si scrivono le poesie, possibilmente non sempre in rima, mi sembra di capire.

 «Io se penso che ci stanno pure le tigri

bianche

rosse

tutte a strisce

gli elefanti da una parte

e i lama dall'altra

nella capitale delle capitali.

Se penso a Capannelle e ai suoi cammelli una volta al mese

le scimmie in gabbia e tutte le dita nel naso dei bambini,

nel frattempo.

Quelli che filano lo zucchero e lo rendono più e più volte ancora commestibile

i fiorai che coprono i girasoli a gennaio

le agenzie immobiliari che fioriscono ad ogni angolo

venditori di lucchetti abusivi sui ponti

taxi che con quaranta euro sei a Fiumicino 

solo andata

ma hai perso il volo e ti godi il traffico

per forza,

nel frattempo.

Se penso ai mezzi, tutti interi e ripieni di quelli come me 

la mattina: 

con gli zaini, i telefoni, i calzini usati del giorno prima 

e le borse sotto gli occhi con dentro il sonno.

Se vado a capo qui 

va bene? 

Ci sono queste cose

sopraelencate,

escluso il Va bene

e pure queste:

uomini con le basette lunghe abbastanza

battelli a vapore in umido nel Tevere

le pecore vere e i pastori

veri anche loro

che poi prendono la metro e tornano a casa

a Centocelle

a Spinaceto. 

A Lanuvio, a Pavona

che solo io so dove stanno Lanuvio e Pavona

mi pare.

Carrozze a motore dei Fori Imperiali

i cavalli con i paraocchi

sordi

che si dimenticano nelle descrizioni

quando si parla di trasporti:

qui ci stanno.

E comunque non ci sono conseguenze

a scordare le persone,

dispiace solo un po' 

stare in una città in cui 

a muovere le cose è il turismo 

e a bloccarle è il traffico.

Gente ovunque 

ma le persone poi

chissà

dove sono?

Se penso a tutte queste cose

cose nei confini della città,

dentro la mutanda della capitale,

mi ci provo ad abituare,

ma finisce che inizia a cominciare il contrario:

inizia lei

la città 

me, ad abitare.»

 

C'è anche da dire che oggi, che è il terzo lunedì dell'anno, è il blue monday. 

Che cosa vuol dire? 

Vuol dire che una quindicina d'anni fa, qualcuno, ovvero uno psicologo di nome Cliff Arnall, si è messo a fare statistiche, spero non in autobus, e ne è venuto fuori che secondo una complicata equazione, la giornata di oggi è da considerarsi la più triste di tutto l'anno a seguire. 

Una specie di pot-pourri di debiti accumulati, bollette da pagare, brutto tempo, tutto ciò raggomitolato in questo lunedì 18 gennaio. Ad ogni modo, oggi che non dovevo andare a lavoro, l'unica cosa che ho scritto, a parte questo articolo, è stata questa:

 «Secondo me l'unica collezione valida è quella delle colazioni.»

 Solo che non è nemmeno in rima e neppure va a capo, vallo a sapere se é poesia.

Un pochino però, smentisce l'effetto-blue monday, mi pare. 

 


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