The Visit. Impossibile sfuggire alla paura

di Emiliano Baglio 05/12/2015 ARTE E SPETTACOLO
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Paula da circa quindici anni non ha più rapporti con i suoi genitori. Ora i suoi due figli Rebecca e Tyler stanno per andarli a trovare per la prima volta permettendo così alla donna, separata dal marito, di godersi una settimana di crociera con il nuovo fidanzato. Ben presto però la piacevole atmosfera familiare comincia a diventare sempre più inquietante, c’è sicuramente qualcosa di strano in quei nonni.

 C’è una scena che riassume alla perfezione il nuovo lungometraggio di Shyamalan ed è quella in cui Rebecca e Tyler giocano a nascondino sotto la casa dei nonni, un momento di perfetta tensione crescente concluso da un finale ironico e beffardo che rimette tutto in discussione. Ecco, The visit è tutto così, è un film nel quale il regista si diverte a giocare con lo spettatore come il gatto con il topo.

Innanzitutto Shyamalan mescola continuamente i toni, passando da quelli più “horror” (le virgolette sono d’obbligo) a quelli più leggeri, una commistione non sempre riuscita, soprattutto nell’ultima parte, che però permette spesso all’autore di lasciare spiazzato lo spettatore.

Il regista costruisce lentamente un’atmosfera sempre più ambigua e lo fa utilizzando i mezzi più antichi del mondo, porte che cigolano, rumori sinistri, apparizioni improvvise che fanno letteralmente balzare sulla sedia, riuscendo alle volte ad irridere questi stratagemmi tipici del genere (come nei momenti in cui i due fratelli giocano a spaventarsi) rovesciandone il senso.

In contrapposizione a ciò dissemina continuamente il suo film di falsi indizi che, letteralmente, non portano da nessuna parte, col risultato che lo spettatore si chiede continuamente cosa potrà accadere e fa congetture mentre, in realtà, sullo schermo di fatto non succede quasi nulla.

Ci sono intere scene, come quella già citata all’inizio, girate magistralmente e messe apposta per turbarci, che si risolvono in un nulla di fatto.

Ecco ad esempio Tyler che vede il nonno entrare in un capanno, lo chiama ma il vecchio non gli risponde, sembra agire in uno stato catatonico. Viene naturale chiedersi cosa si nasconda di così misterioso in quel  capanno. Ed ancora una volta la risposta (che ovviamente non sveleremo) è spiazzante.

L’altra grande intuizione è nel modo in cui l’autore utilizza la tecnica oramai abusata del found foutage che da The blair witch project in poi ha infettato indelebilmente l’horror e che ha fatto la fortuna di Jason Blum, produttore di The visit ma anche dei vari Paranormal activity.

Shyamalan inserisce il found foutage nella struttura stessa del film dandogli una spiegazione diegetica grazie al personaggio di Rebecca che ha deciso di girare un documentario sui nonni e al tempo stesso moltiplica i punti di vista dando a Tyler una seconda telecamera.

Niente riprese traballanti o simili espedienti, quello che viene messo in scena è, in una tipica struttura meta cinematografica, lo stesso regista al lavoro e soprattutto al montaggio, vera e propria fase nella quale i film prendono corpo e vita.

Fondamentali poi sono le conversazioni via skype dei due ragazzi con Paula. In primo luogo perché contrappongono l’atmosfera spensierata della crociera con l’aria plumbea che si respira nella casa, in secondo luogo perché ad un certo punto la webcam cessa di funzionare e quindi la madre non può vedere quello che sta succedendo ai suoi due pargoli e quando finalmente Rebecca riesce a ripararla sarà proprio la webcam stessa a rivelare cosa sta realmente accadendo.

Certo, non tutto funziona come dovrebbe e troppo spesso Shyamalan sembra indeciso sulla strada da intraprendere tra le tentazioni horror e quelle ironiche.

Tuttavia il vero punto debole del film è quando tutti i nodi vengono al pettine.

Da una parte il cineasta conferma le sue ossessioni, a cominciare dalla presenza dell’acqua come elemento stesso del mistero (come nel sottovalutato Lady in the water del 2006), passando per gli alieni (Signs del 2002) per finire con la scelta di adottare il punto di vista dei due ragazzi che da sempre sono i veri protagonisti di tutte le sue opere.

Dall’altra il film è totalmente sbilanciato e la seconda parte è troppo sbrigativa e la una spiegazione avrebbe sicuramente meritato maggiori approfondimenti anche perché ci sono alcune piccole incongruenze.

Il tutto senza contare il finale vero e proprio del film che ci saremmo volentieri risparmiati.

Eppure The visit non solo è la cosa migliore che Shyamalan abbia girato negli ultimi 9 anni ma soprattutto è un film molto meno sciocco di quanto non sembri, un’opera nella quale il regista fa quello che vuole dello spettatore, gli mette paura e poi risolve tutto con colpi di scena di segno opposto, gli fa fare congetture e le smonta una ad una e si dimostra capace di costruire momenti horror perfetti (la scena della partita), il che ci fa ben sperare per il futuro e per il prossimo film.

Shyamalan è finalmente tornato tra di noi, sinceramente era ora.



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