Generazione Neet. Due milioni e mezzo di giovani non lavorano, non studiano, non cercano un lavoro

di M.L. 10/11/2015 ECONOMIA E WELFARE
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Non sono identificati tramite una definizione univoca,in sociologia e nel linguaggio dei media si tende a definirli, Neet, not in education, employment or trading, ossia al momento non nello studio, nella formazione e nell’occupazione. Né alla ricerca di un lavoro. Anche le cifre sono discordanti. Per l’Europa, stando alle ultime statistiche di Eurofund, l’organismo comunitario per le politiche del lavoro e sociali, nei paesi dei 28 stati membri vi sarebbero 14 milioni di giovani fra i 15 e i 29 anni che non studiano, né lavorano, né i formano al lavoro né cercano un lavoro.

Ci vuole poco da queste basilari e poco rassicuranti considerazioni, a definire questa generazione come la prossima generazione perduta. Una generazione che sarà sconosciuta al welfare e alle società dei paesi di cui questi milioni di ragazzi e ragazze dovrebbero invece rappresentare la struttura portante.

Da noi se ne parla ancora poco, se non altro perché la questione basilare è quella della disoccupazione giovanile, ma c’è da giurarci che quando l’Istat pubblica i dati sul difficile rapporto fra giovani e lavoro, una buona parte di quelli che non hanno un contratto di lavoro può rientrare tranquillamente nei neet.

Michele Serra, nel libro dedicato al figlio, li definisce “Sdraiati” ammettendo infine di non riuscire a comprenderli. Il filosofo Umberto Galimberti ne “I vizi capitali e i nuovi vizi” li descrive come accidiosi, ma la di là di connotazioni vagamente letterarie, secondo un recente e al momento solo studio sul fenomeno, portato a termine da Alessandro Rosina, sociologo dell’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano, e edito da Vita e pensiero, ormai sarebbero 2,5 milioni, erano 1,8 nel 2008. Il 19% al nord, il 35 al centro sud.

“Un fenomeno allarmante” che a quanto pare invece allarma ancora poco se così scarsamente se ne parla. Per Rosina si tratta di un enorme “spreco di potenziale umano ha un costo rilevante, sul piano sia sociale sia economico, perché le nuove generazioni sono la componente più preziosa e importante per la produzione di benessere in un Paese”. Nella ricerca di Rosina i responsabili sono diversi e su più livelli, ma sempre in un’ottica di ruoli istituzionali che evidentemente non operano al meglio: la scuola e la famiglia, ma anche il sistema produttivo nel suo complesso e i mass media.

 Ritornando ai numeri in pratica quasi un quarto dei giovani fino a trent’anni “abita” la cupa regione del neet, le media europea si attesta intorno al 16%, anche se in paesi come la Germania tale quota non supera il 10%.

 Dietro agli acronimi e alle griglie di riferimento naturalmente si nasconde sempre la vita vera delle persone e così fra i neet vi sono i diplomati che una volta usciti dalla scuola non sono riusciti ad entrare subito nel mercato del lavoro e hanno “preferito” allungare il tempo di questo passaggio, o ci sono quelli che un diploma non l’hanno neppure conseguito e sono entrati nel magmatico mondo dei “lavoretti” a nero, volantinaggio, consegne, facchini, impiegati part time nella ristorazione ecce cc. E ancora, i laureati che non hanno proseguito nella formazione post laurea o quelli, numerosissimi, che non sono riusciti a conseguire una laurea.

Un universo di storie e difficoltà che sfocia nell’indifferenza finale verso la ricerca di un lavoro strutturato e contrattualizzato o verso il proseguimento di una formazione che possa tornare utile alla ricerca dell’occupazione.  

 Il rischio finale è che molti di questi giovani finiscano definitivamente nel mare degli inattivi o di quelli che passeranno la loro vita lavorativa nei lavori a nero senza diritti né voce.

Come se ne esce? Secondo la ricerca di Rosina, ma in generale secondo ovvie norme di buon senso, si deve ripartire prima di tutto dalla scuola, quella pubblica, investendo in strutture e incentivando il merito, e poi occorrono politiche di welfare di estrema attenzione verso i giovani che attraversano le fasi di passaggio tra le superiori e l’università o il passaggio dagli sturi alla ricerca di un posto di lavoro, con la consapevolezza che si tratta di una sfida determinante, quella dei neet, per il futuro delle nostre società.

 


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