24 Marzo 1944. Ottanta anni dall'eccidio delle Fosse Ardeatine. Roma ricorda

di redazione 24/03/2024 ROMA
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Ottant'anni fa avveniva l'eccidio delle Fosse ardeatine: 335 persone, tra militari e civili, furono trucidate a Roma dalle truppe di occupazione naziste. Una ferita ancora aperta nella memoria del nostro Paese. La scuola deve essere in prima linea nel custodire il ricordo della lotta contro il nazifascismo e i suoi orrori, trasmettendo alle nuove generazioni i valori costituzionali della democrazia, della libertà e del rispetto verso la persona umana". Lo sostiene ilministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara. 

"È nostro dovere custodire la memoria dell'eccidio delle Fosse Ardeatine con l'uccisione da parte dei nazisti di 335 persone e che rappresenta una delle pagine più buie della nostra storia. Quanto avvenne il 24 marzo 1944 è un orrore di fronte al quale ci si può solo inchinare, confidando e lavorando affinché mai più possa ripetersi una simile atrocità".
Così il presidente del Senato Ignazio La Russa.

Il 24 marzo del 1944 si consumò l'eccidio delle Fosse Ardeatine dove 335 persone, per la maggior parte civili, vennero assassinate dalle truppe tedesche. "Una strage impressa nella memoria collettiva come uno dei più atroci crimini di guerra perpetrati durante l’occupazione nazista. Un tentativo di instillare terrore e sopprimere la resistenza che, al contrario, rafforzò la determinazione degli italiani a lottare per la libertà. Ricordiamo oggi il sacrificio delle vittime per mantenere viva la promessa di un futuro di pace e giustizia", ha dichiarato il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi.

Dalla A di Ferdinando Agnini alla Z di Augusto Zironi corre un elenco di 335 nomi che non sono solo anagrafe, ma altrettante biografie, vite vissute. Biografie che vanno a comporre il ritratto di una nazione in uno dei suoi momenti più bui: l’eccidio delle Fosse Ardeatine, rappresaglia per l’attentato di via Rasella, avvenuta ottant’anni fa, il 24 marzo del 1944. Gli storici Mario Avagliano e Marco Palmieri hanno ricostruito uno per uno i loro profili in Le vite spezzate delle Fosse ArdeatineLe storie delle 335 vittime dell’eccidio simbolo della Resistenza (Einaudi, pagine, euro).

Una fatica improba quella di condensare 335 biografie in poco meno di 600 pagine. Ma ancor più difficile è stato scovare notizie sulle persone comuni, entrate nella storia loro malgrado. Eppure una prima ricostruzione sulle identità delle vittime venne fatta subito da Attilio Ascarelli, l’anatomopatologo che nel luglio 1944 venne incaricato di guidare l’équipe medica della Commissione Fosse Ardeatine. Il medico, uno di primi a entrare nella cava fatta saltare dai tedeschi, aveva redatto una Breve biografia dei 320 (numero che non considerava il computo finale e i 5 uccisi in più per errore), la quale conteneva 291 schede biografiche. Queste sono però rimaste senza seguito. O meglio la memorialistica si è concentrata su poche figure significative della Resistenza (come l’alto ufficiale Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo o don Pietro Pappagallo) e allo stesso tempo si è dispersa, come scrivono gli autori in «molti rivoli». Consci dell’interesse storiografico di fornire una visione d’insieme di tali testimonianze, Palmieri e Avagliano (che hanno al loro attivo numerosi saggi sull’Italia del Novecento, in particolare nel secondo conflitto mondiale) hanno compulsato i diari e le lettere dei martiri e dei loro parenti, amici e compagni di lotta, le carte di polizia e casellari giudiziari, le schede carcerarie, i documenti raccolti dal Museo storico della Resistenza, i dati forniti dai parenti all’Associazione nazionale familairi degli italiani martiri (Anfim), gli atti del processo Kappler e molti altri dati emersi dalla profluvie di saggi, memorie e interviste uscite in questi 80 anni. Una mole di lavoro impresionante. «Questo libro è una sorta di Spoon River che ricostruisce la storia personale delle vittime, tra la cui righe si legge la storia politica, sociale, economica e culturale italiana al tempo del fascismo, dell’occupazione nazista e della guerra di liberazione».

L’introduzione ricostruisce le ore concitate in cui autorità naziste e collaboratori fascisti (il cui ruolo viene ben evidenziato) inserirono e depennarono nomi, svuotarono celle, se la presero con antifascisti, ebrei e persone inermi, allo scopo di dare un segnale di reazione all’attacco che aveva mostrato la loro vulnerabilità nel cuore della Città Eterna. Gli autori sgombrano il campo dalle polemiche spesso ripetute (e già messe in circolo a caldo) sulle responsabilità dei gappisti, autori dell’attentato, nella morte di innocenti. In realtà, spiegano Palmieri e Avagliano, gli esecutori non furono neanche veramente cercati. «Lo stesso Kappler nel processo a suo carico spiega che la rapidità nell’esecuzione della rappresaglia risponde a due ragioni: rispettare l’ordine di Hitler di agire con una reazione esemplare entro ventiquattr’ore ed evitare che la notizia di una imminente esecuzione in massa dei detenuti politici possa innescare un’insurrezione popolare in città». L’ordine purtroppo, quando se ne venne a conoscenza tramite un proclama tedesco, era “già stato eseguito”.



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