Attacco di Hamas contro Israele. Analisi: Intelligence, geopolitica del conflitto arabo-israeliano, Iran e Arabia Saudita, Hamas

di redazione 08/10/2023 ESTERI
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Un portavoce di Hamas, Ghazi Hamad, ha dichiarato nella mattina di domenica 8 ottobre alla Bbc che nel suo attacco ad Israele ha ricevuto il pieno sostegno dell'Iran. Se fosse davvero così, visto che Washington ancora non si sbilancia sul diretto coinvolgimento di Teheran apparirebbe ancora più grave e drammatico lo smacco che Hamas ha inferto all’intelligence israeliana.

Un gigantesco fallimento per Israele. Abbiamo consentito ad Hamas e all’Iran di dimostrare che siamo deboli». Yossi Melman, giornalista e scrittore israeliano  commosso, come riportato da La Repubblica, afferma che si tratta del «giorno peggiore della nostra storia.  L’intera macchina dello Stato ha fallito: l’intelligence che non ha saputo prevedere, i militari che non hanno reagito in modo efficace e perfino le strutture civili come gli ospedali che sono andati in tilt».

Migliaia di razzi sparati contro obiettivi israeliani. Commando palestinesi infiltrati nei territori dello Stato ebraico. Oltre 100 morti, centinaia di feriti e decine di ostaggi tra la popolazione. “Abbiamo deciso di porre fine ai crimini d'Israele”. Così Hamas, l’organizzazione islamista che controlla la Striscia di Gaza, presenta al mondo l’attacco senza precedenti che ha insanguinato l’alba del giorno di riposo dello Shabbat. Un’operazione che col passare delle ore assume contorni sempre più definiti e in cui, considerata la sua complessità, non può non aver giocato un ruolo il grande protettore del movimento radicale: l’Iran.

 

“Siamo in guerra con Hamas” dichiara il premier Benjamin Netanyahu parlando a nuora perché suocera intenda. Mentre è già scattata una controffensiva durissima – centinaia sono le vittime tra i palestinesi - ci si interroga se la furia delle forze di Tsahal rimarrà infatti confinata ai limiti territoriali della Striscia di Gaza. Teheran intanto getta benzina sul fuoco. Un consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei citato dall’agenzia iraniana ISNA si è congratulato con i combattenti di Hamas rinnovando l’impegno a sostenerli “sino alla liberazione della Palestina e di Gerusalemme”. La televisione di stato ha mostrato inoltre membri del parlamento alzarsi in piedi e inneggiare alla “morte di Israele”.

 

Una reazione che non stupisce. Teheran finanzia Hamas da decenni, un’alleanza che si aggiunge a quella con Hezbollah in Libano. Entrambi i movimenti sono votati alla distruzione dello Stato ebraico e sono agenti del caos usati dall’Iran nel conflitto a bassa intensità in corso contro Israele. In passato il supporto nei confronti dell’organizzazione palestinese si esplicava anche nella fornitura di componenti per la costruzione di razzi ma il trasferimento di tale tecnologia che avveniva attraverso dei tunnel sotterranei tra Egitto e Gaza pare sia stato bloccato dal governo del Cairo.

L’attacco di ieri del movimento islamico Hamas contro Israele è stata una mossa spontanea delle forze della Resistenza in risposta ai continui atti criminali del regime sionista, ha dichiarato il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian in una conversazione telefonica con il suo omologo turco Hakan Fidan la scorsa notte.

 

Durante i colloqui, le due parti hanno discusso gli attuali sviluppi sulla scia dell’attacco. «È necessario rafforzare la solidarietà tra i Paesi islamici a sostegno del popolo e della Resistenza palestinese», ha dichiarato il diplomatico iraniano, citato dall’IRNA.

 

Da parte loro gli israeliani conducono uccisioni di scienziati e attacchi hacker per ostacolare il programma nucleare iraniano temendo possa essere finalizzato allo sviluppo di una bomba nucleare. Sin dai primi anni di questo secolo Israele ha cercato di ottenere, senza successo, il via libera degli Stati Uniti a bombardare gli impianti destinati alla ricerca sull’atomo del regime degli ayatollah. Una soluzione che ha dei precedenti e ha visto le forze aeree di Tel Aviv distruggere nel 1981 il reattore nucleare di Osiraq in l’Iraq. Stesso modus operandi adottato nel 2007 contro l’impianto siriano di Deir ez-Zor.

 

Incassato il no della Casa Bianca e ritenendo le sanzioni internazionali non sufficienti, Israele ha fatto ricorso quindi all’utilizzo di Stuxnet, un virus informatico che ha sabotato le centrifughe di Teheran rallentando il suo programma nucleare. Archiviato l’accordo sul programma iraniano voluto da Barack Obama e rinnegato dal suo successore Donald Trump, con Netanyahu al potere, secondo le indiscrezioni di stampa, l’opzione dell’attacco preventivo ha preso nuovamente quota.

 

Lo scoppio della crisi attuale coglie Israele e Iran in un momento di forte tensione sociale - il primo per le contestazioni sulla riforma della giustizia, il secondo per le proteste scatenate dalla morte un anno fa di Mahsa Amini - che presenta delle incognite qualora si arrivasse ad un’escalation diretta tra i due nemici storici. Qualche mese fa decine di componenti riservisti del Battaglione 69, un’unità aerea impegnata tra le altre proprio nella missione contro il reattore siriano, hanno interrotto l’addestramento e si sono rifiutati di prendere servizio in segno di protesta. Un pericoloso segnale per Israele che arriva più fragile che mai all’appuntamento con l’ora più difficile.

Infine, ma sembra proprio questa la ragione profonda dell’attacco di Hamas, ci sono i cosiddetti accordi di Abramo. Gli accordi di Abramo sono una dichiarazione congiunta tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti, raggiunta il 13 agosto 2020. Successivamente il termine è stato utilizzato per riferirsi collettivamente agli accordi tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti (l'accordo di normalizzazione Israele-Emirati Arabi Uniti) e Bahrein, rispettivamente (l'accordo di normalizzazione Bahrein-Israele).

 

La dichiarazione ha segnato la prima normalizzazione delle relazioni tra un paese arabo e Israele da quella dell'Egitto nel 1979 e della Giordania nel 1994. Gli accordi originali di Abramo sono stati firmati dal ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed Al Nahyan, dal ministro degli Esteri del Bahrein Abdullatif bin Rashid Al Zayani, dal 45º presidente degli Stati Uniti Donald Trump e dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu il 15 settembre 2020 presso la South Lawn della Casa Bianca a Washington[1].

 

L'accordo con gli Emirati Arabi Uniti è stato ufficialmente intitolato Accordo di pace degli accordi di Abramo: Trattato di pace, relazioni diplomatiche e piena normalizzazione tra gli Emirati Arabi Uniti e lo Stato di Israele. L'accordo tra il Bahrein e Israele è stato ufficialmente intitolato Accordi di Abramo: Dichiarazione di pace, cooperazione e relazioni diplomatiche e amichevoli costruttive ed è stato annunciato dagli Stati Uniti l'11 settembre 2020.

 

Gli accordi prendono il nome dal patriarca Abramo, considerato un profeta da entrambe le religioni dell'Ebraismo e dell'Islam, e tradizionalmente considerato un patriarca condiviso dei popoli ebraico e arabo (tramite Isacco e Ismaele).

Dietro Hamas è probabile che Paesi come l’Iran vogliono non solo sabotare ma distruggere completamente le possibilità di accordi tra paesi quali Israele e Arabia Saudita, entrambi ritenuti nemici da Teheran.

 

GEOPOLITICA DEL CONFLITTO ISRAELO PALESTINESE

In questa fase, ci sono quattro tipi di posizione:

 

Una condanna chiara e inequivocabile, che porta al sostegno di Israele;

Un invito alla de-escalation, spesso accompagnato da una condanna;

Sostegno all’operazione di Hamas, Tempesta al-Aqsa;

Un’assenza di presa di posizione in questa prima fase del conflitto, comune alla maggior parte dei Paesi del mondo.

 

L’Occidente compatto nella condanna:

La prima posizione – chiara condanna – riunisce la maggior parte dei Paesi della NATO, con la notevole eccezione della Turchia. La mappa del sostegno a Israele si sovrappone quindi in modo molto forte alla mappa dei Paesi che sostengono lo sforzo bellico ucraino.

 

L’Unione Europea nel suo complesso ha condannato l’attacco e ha espresso la sua solidarietà a Israele.

Negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden stava negoziando un mega-deal con l’Arabia Saudita e Israele con l’obiettivo di proporre una soluzione a lungo termine alla questione palestinese prima della campagna presidenziale del 2024. L’attacco e l’inequivocabile sostegno allo Stato di Israele e al suo Primo Ministro Benjamin Netanyahu mettono in discussione l’intero piano. La guerra del Sukkot e la sua dimensione internazionale diventeranno sicuramente un tema chiave della campagna elettorale nelle prossime settimane. Trump aveva accusato Biden che l’accordo della sua amministrazione con l’Iran sarebbe stato «utilizzato per attacchi terroristici in Medio Oriente e più specificamente per rapimenti».

L’Ucraina ha condannato con forza l’attacco e ha espresso il suo sostegno a Israele.

L’appello alla de-escalation: tra neutralità strategica e sostegno ambiguo

La seconda posizione – condanna accompagnata da un invito alla moderazione o alla de-escalation – riguarda diversi Paesi arabi o musulmani.

 

L’Arabia Saudita, che è coinvolta nei negoziati del mega-deal con gli Stati Uniti, ha assunto una posizione attendista. In una dichiarazione rilasciata dal suo Ministero degli Affari Esteri, ha chiesto una de-escalation, affermando che stava monitorando da vicino «la situazione senza precedenti tra alcune fazioni palestinesi e le forze di occupazione israeliane». La dichiarazione ha anche ricordato che il Regno dell’Arabia Saudita ha spesso avvertito dei rischi di esplosione legati alla «continuazione dell’occupazione, alla privazione dei diritti legittimi dei palestinesi e alle provocazioni sistematiche e ripetute contro i loro luoghi santi».

Tuttavia, i Paesi che hanno firmato gli Accordi di Abramo – Bahrein, Sudan – non sono rappresentati. Marocco e Sudan si sono infine pronunciati per una de-escalation

 

Le posizioni di Russia e Turchia — solo Paese Nato a non condannare nettamente — sono anche degne di nota.

 

Il Presidente turco Erdogan ha invitato sia Israele che la Palestina alla moderazione e ha chiesto di evitare la violenza.

La Russia ha chiesto la de-escalation e la moderazione, e il Cremlino ha detto di essere in contatto con entrambe le parti.

Sostegno attivo a Hamas e all’operazione Tempesta al-Aqsa

La terza posizione è stata finora assunta solo dal regime iraniano, che ha anche affermato di aver contribuito all’organizzazione dell’Operazione Tempesta al-Aqsa.

 

Verso le 13:30 (CET, 17 in Iran), dei deputati del Madjless, il Parlamento iraniano si sono alzati in gruppo in piedi in un video trasmesso dalle emittenti pubbliche per cantare degli slogan come «Israele è finito, la Palestina vincerà» (اسرائیل نابود است، فلسطین پیروز است), seguito da un più classico «Morte all’America» (مرگ بر آمریکا).

Finora, non c’è stata alcuna reazione da parte di personalità politiche di spicco. La prima reazione ufficiale è arrivata dal Generale Yahya Rahim Safavi, consigliere militare della Guida Ali Khamenei, che ha dichiarato: «I Difensori del Santuario [termine utilizzato per descrivere le forze militari iraniane in Medio Oriente] e i grandi martiri come Qassem Soleimani sono al fianco di questi combattenti e continueranno ad esserlo fino a quando la Palestina e Gerusalemme non saranno liberate». 1

Alcuni analisti ritengono che il sostegno aperto della Repubblica islamica dell’Iran a Hamas sia un mezzo per mettere sotto dura tensione l’Arabia Saudita nel suo graduale avvicinamento a Israele, evidenziando il graduale allontanamento saudita dalla causa palestinese – allontanamento incarnato da Mohammed Ben Salman rispetto a suo padre, il Re Salman.

 

Il 03 ottobre, Ali Khameni ha dichiarato: «Il regime sionista è in declino. La scommessa di normalizzare le relazioni con questo regime è perdente a tutti i livelli».

 

Nelle ultime ore, anche diversi Paesi arabi e musulmani hanno preso posizione a sostegno dell’attacco di Hamas.

 

Dopo l’Iran, l’Algeria è il primo Paese ad aver preso una posizione chiara a sostegno dell’attacco di Hamas, condannando unilateralmente lo Stato di Israele (considerato l’unico responsabile degli «attacchi brutali») e rivendicando il diritto dei palestinesi a combattere «l’occupazione sionista» (si veda la nostra analisi qui).

Una posizione simile è stata assunta dal Qatar, che ha invitato la comunità internazionale a «costringere Israele a porre fine alle sue flagranti violazioni del diritto internazionale, a obbligarlo a rispettare le legittime decisioni internazionali e i diritti storici del popolo palestinese, e a impedire che questi eventi siano usati come pretesto per scatenare una nuova guerra sproporzionata contro i civili palestinesi a Gaza». La dichiarazione ha riaffermato la «posizione coerente del Qatar a sostegno della causa palestinese e dei diritti legittimi del popolo palestinese, compresa la creazione di uno Stato indipendente sulla base dei confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale».

L’Iraq ha rilasciato una dichiarazione che «afferma la sua ferma posizione, come popolo e governo, sulla questione palestinese, e che sostiene il popolo palestinese nella realizzazione delle sue aspirazioni e nell’ottenimento dei suoi pieni diritti legittimi, e che l’ingiustizia e l’usurpazione di questi diritti non possono produrre una pace duratura».

La Siria, attraverso il Ministero degli Affari Esteri, ha descritto l’operazione di Hamas come «un successo onorevole che dimostra che l’unico modo per i palestinesi di ottenere i loro diritti legittimi è la resistenza in tutte le sue forme». La Siria ha anche espresso il suo «sostegno» al popolo palestinese e alle forze che «combattono il terrorismo sionista».

Infine, i ribelli Houthi, alleati dell’Iran, che controllano la capitale Sanaa, hanno dichiarato di sostenere «l’eroica operazione dei jihadisti palestinesi [che] ha rivelato la debolezza, la fragilità e l’impotenza di Israele».

 

CHI E' IL CAPO E L’ISPIRATORE DELL’ATTACCO DEL 6 OTTOBRE AD ISRAELE

 

Si chiama Mohammed Deif ed è il comandante militare supremo delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam, braccio militare di Hamas, la più spietata organizzazione terroristica attiva a Gaza, armata e finanziata dalla Repubblica islamica.

 

È uno degli uomini più ricercati al mondo che è sopravvissuto a svariati tentativi di assassinio da parte delle forze di Israele. È noto anche come “il fantasma” per la sua abilità ad eludere la sorveglianza israeliana con uno stile di vita al limite del nomadismo. Di lui esiste solo una foto sbiadita proprio come fu per Matteo Messina Denaro.

 

Deif è nato nel 1965 nel campo profughi di Khan Yunis all’epoca in cui Gaza era amministrata dall’Egitto. Aderisce ad Hamas alla fine degli anni Ottanta, quando la prima intifada volgeva al termine, e acquisisce precoce notorietà per il suo ruolo nell’uccisione e nel rapimento di soldati israeliani. E’ uno dei leader delle brigate Qassam, di cui nel 2002 diventa il comandante dopo la morte del precedente capo, Salah Sheade, in un raid israeliano.

 

Da allora conduce un’esistenza nell’ombra e pare che sia rimasto paralizzato a causa delle numerose ferite subite durante molteplici attacchi di Gerusalemme. Il più recente attentato alla sua vita risale al 2014, quando un bombardamento israeliano ha causato la morte della moglie e del figlio piccolo.

 

Da quando è diventato comandante non è più apparso in pubblico. La sua voce era stata udita l’ultima volta nel maggio 2021, quando ammonì Israele del “duro prezzo” che avrebbe pagato se non avesse soddisfatto le richieste di Hamas su Gerusalemme.

 

Nel 2009 viene inserito dagli Usa nell’elenco degli Specially Designated Global Terrorists. Il Dipartimento di Stato lo descrive come “una figura chiave dell’ala militare di Hamas” accusandolo di essere responsabile di “numerosi attacchi terroristici contro civili israeliani”.

 

Nel corso della sua lunga carriera criminale si è distinto per l’abilità nelle tattiche della guerra asimmetrica, incluso l’impiego di attentatori suicidi, razzi, droni e tunnel.

 

Il proclama.

 Ieri Deif è uscito allo scoperto con un proclama diffuso sui social media ad attacco in corso: una vera e propria chiamata alle armi del “nostro popolo a Gerusalemme… nel Negev, in Galilea e nel Triangolo”, ossia l’area di Israele compresa tra Umm al-Fahn e Wadi Ara.

 

Nel pieno stile degli appelli dell’Isis ai lupi solitari, nel messaggio Deif ha esortato i palestinesi ad attaccare Israele “con tutti i mezzi e gli strumenti a vostra disposizione … Tirate fuori le vostre pistole oggi, e chiunque non abbia una pistola porti un coltello, una mannaia o un’ascia”.

 

“O giusti mujahedeen – le parole scandite dal comandante – questo è il vostro giorno affinché facciate capire al nemico che il suo tempo è giunto”.

 

HAMAS

 

Nata nel 1987 durante la prima Intifada come braccio dei Fratelli Musulmani, Hamas viene fondata come organizzazione musulmana sunnita con l’obiettivo di liberare la Palestina dall’occupazione israeliana per fondare uno Stato islamista in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Il nome Hamas, in arabo, è acronimo di “Movimento islamico di resistenza”. «Non siamo contro gli ebrei né contro i cristiani. Non abbiamo niente contro le loro religioni. Noi resistiamo solo a quelli che occupano i nostri territori e ci attaccano», ha detto una intervista alla PBS del 2010 il capo del politburo di Hamas, Khaled Meshaal. «Noi siamo Talebani né Al Qaeda», ha dichiarato Fathi Hamad, ministro dell’Interno di Hamas, «noi siamo siamo un movimento islamico moderato».

 

Hamas si è imposta come la principale forza di opposizione al leader palestinese Yasser Arafat e il suo movimento AL Fatah in Cisgiordania e la Striscia di Gaza negli anni Ottanta e Novanta. Nel 2006, poco dopo la morte di Arafat e l’elezione di Mahmoud Abbas, Hamas è diventata il primo gruppo islamista nel mondo arabo a prendere il potere in modo democratico dopo un successo elettorale sbalorditivo. Da lì in poi, qualsiasi tentativo da parte di Israele, degli Stati Uniti e della comunità internazionale di arginare il movimento islamista è fallito. Nel 2007 ha preso il controllo sulla Striscia di Gaza, diventando sempre più popolare attraverso una dura resistenza contro lo Stato di Iasraele e anche per via dei numerosi casi di corruzione all’interno di Fatah. Nonostante molti leader di Hamas, come il capo politico Khaled Meshaal, abbiano vissuto in esilio per più di 30 anni, l’organizzazione ha comunque mantenuto una forte penetrazione nei territori palestinesi. Quando si parla di “regime di Hamas” nella Striscia di Gaza, non significa che tutte le persone impiegate nei ministeri o nelle forze di sicurezza nel territorio siano necessariamente membri o simpatizzanti dell’organizzazione. I sostenitori di Hamas sono invischiati ovunque. The Jerusalem Post ha calcolato che dal giugno 2007 l’Autorità palestinese della West Bank ha continuato a pagare salari a decine di migliaia di impiegati nel settore pubblico a Gaza – soprattutto nell’istruzione e nella sanità.

Al suo interno Hamas ha una struttura ben definita: il consiglio consultivo Majlis al-Shura che prende le decisioni di base a Damasco; un’ala militare costituita dalle Brigate ‘Izz al-Din al-Qassam; l’ala che si occupa del welfare e della politica per mantenere il consenso.

 

La lotta militare fa parte dello statuto stesso dell’organizzazione. «Non ci sono soluzioni per la questione palestinese tranne che la Jihad», si legge nella carta del 1988. «Iniziative, proposte e conferenze internazionali sono solo una perdita di tempo». Le brigate al Qassam, che sono quelle che in questi giorni stanno conducendo la battaglia contro Israele, da una piccola banda di guerriglieri si sono evolute in una organizzazione più sofisticata con accesso a maggiori risorse e con un più vasto controllo territoriale. Si tratta di circa 2.500 persone, i cui metodi di attacco vanno dai rapimenti di piccola scala e omicidi di militari israeliani fino agli attacchi suicidi e ai missili contro i civili israeliani. Tra il 1994-1997 e il 2000-2008, i militanti palestinesi hanno ucciso circa 700 israeliani.

 

Come reazione al blocco di Gaza e alle limitazioni nell’accesso a Israele, Hamas e gli altri gruppi di militanti palestinesi della Striscia hanno aumentato il lancio di razzi e mortai sugli obiettivi israeliani. Sono gli stessi militanti di Hamas a fabbricare i cosiddetti razzi Qassam a gittata limitata. Per costruirli vengono usati materiali domestici come fertilizzanti, zucchero, alcool, benzina, tubi e scarti di metalli. Materiali che vengono contrabbandati nella Striscia di Gaza attraverso i tunnel che passano sotto i confini egiziani.

I tunnel tra Gaza e la penisola del Sinai sono proliferati dopo l’abbandono unilaterale di Gaza da parte di Israele nel 2005. Il formicaio di tunnel sotterranei è diventato così il principale motore dell’economia della Striscia e di Hamas soprattutto. Da questi cunicoli non passano solo i materiali per costruire i razzi Qassam o altri esplosivi, ma anche migliaia di mortai e razzi di lunga gittata, molti dei quali vengono fabbricati in Cina o Iran, oltre a armi più piccole per il combattimento uno a uno.

 

Nei circa mille tunnel lavorerebbero 7mila persone. Sono condotti ad alta ingegneria, alcuni dei quali possiedono anche elettricità, ventilazione, interfono, e sistemi di trasporto su rotaie. Molti degli ingressi sono stati trovati all’interno degli edifici stessi di Gaza, cosa che viene spesso usata da Israele come motivo dei raid aerei sulle abitazioni civili. Nonostante durante l’operazione Piombo fuso più di cento tunnel siano stati colpiti dai bombardamenti israeliani, molti dei cunicoli sono stati poi ricostruiti in pochi giorni visto che a esser danneggiati erano soprattutto gli ingressi e non le sezioni centrali.

 

Ma non ci sono solo i razzi. I miliziani di Hamas nel conflitto con Israele usano anche asini e cani bomba, finti vecchi e finti malati. Gli animali vengono imbottiti di esplosivi. Nel 2009 al valico di Karni, fra Gaza ed Israele, le truppe di Tel Aviv furono sorprese da diversi cavalli lanciati al galoppo, su ciascuno dei quali era stato applicato esplosivo. Altra arma sono i finti vecchi. Sono miliziani di Hamas che si fingono malati o acciaccati. I soldati israeliani passano indisturbati accanto a queste persone, che invece possono nascondere armi ed esplosivi.

Poi ci sono gli uomini rana che si muovono dalla costa della Striscia di Gaza a quella israeliana attraverso l’acqua, con le pinne ai piedi e il boccaglio.

Hamas ha il controllo su tutta l’informazione di Gaza. Il dissenso pubblico nella Striscia viene soppresso. L’organizzazione usa la sua televisione e i canali radio Al Aqsa e organizza anche campi estivi per indottrinare i bambini a una visione islamista/palestinese del conflitto. Nel 2009, Hamas ha addirittura prodotto il suo primo film che celebra la vita e la morte dei militanti delle Brigate Qassam. Molto forte anche la presenza sui social network (Qui la pagina Facebook del ministero dell’Interno di Gaza, che ha pubblicato le social media guidelines da usare per riportate le notizie durante il conflitto)

L’Iran provvede all’assistenza finanziaria e militare di Hamas e di altri gruppi militanti palestinesi. Secondo alcuni report, l’Iran contribuirebbe alla sussistenza politica e militare dell’organizzazione con 20-30 milioni di dollari ogni anno. Il quartier generale del gruppo si trova invece a Damasco in Siria, da dove i leader in esilio dirigono i militanti. Il gruppo islamista libanese Hezbollah fornisce invece molte armi e anche corsi militari.



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