Iran. Processi sommari e decine di condanne a morte per "arginare" le proteste.

di redazione 11/12/2022 NON SOLO OCCIDENTE
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L'ex calciatore iraniano Amir Nasr-Azadani, di 26 anni, e il coetaneo attore teatrale Hossein Mohammadi, sono stati condannati a morte dalla magistratura iraniana iraniano per aver protestato contro il regime durante le manifestazioni seguite alla morte di Mahsa Amini.

Le esecuzioni sarebbero imminenti.

 

All’alba dell’8 dicembre Mohsen Shekari, 23 anni è stato impiccato al termine di un processo che ha rappresentato una messinscena della giustizia. Shekari era stato arrestato appena tre settimane prima ed era stato accusato di reato di “inimicizia contro Dio” per aver “bloccato la circolazione stradale” nella capitale Teheran, “alimentato paura”“privato le persone della libertà e della sicurezza” e “intenzionalmente ferito un agente della sicurezza” con un coltello.


Almeno 28 persone, tra cui tre minorenni, rischiano l’esecuzione in relazione alle proteste in corso in Iran.

Le autorità iraniane usano la pena di morte come mezzo di repressione politica per instillare la paura tra i manifestanti e mettere fine alle proteste. Almeno sei persone sono già state condannate a morte in processi-farsa.

Le 28 persone sono state sottoposte a processi iniqui: sono stati negati i loro diritti a essere difesi da un avvocato di propria scelta, alla presunzione di innocenza, a rimanere in silenzio non rispondendo alle domande e ad avere un processo giusto e pubblico. Secondo fonti ben informate, numerosi imputati sono stati torturati e le loro confessioni, estorte con la tortura, sono state usate come prove nel corso dei processi. Le TV di stato hanno mandato in onda le ”confessioni” forzate di almeno nove imputati, prima dei loro processi.

I tre minorenni sono sotto processo in tribunali per adulti, in violazione della Convenzione dei diritti dell’infanzia, che l’Iran ha ratificato.

Amnesty International teme che oltre a queste 28 persone, molte altre rischino l’esecuzione, considerate le migliaia di rinvii a giudizio disposti finora. Il timore di imminenti esecuzioni è accresciuto dalle richieste da parte del parlamento e di altre istituzioni di avere processi rapidi ed esecuzioni pubbliche.

DAL SITO AMNESTY INTERNATIONAL

Aggiornando le proprie ricerche, Amnesty International ha reso note le generalità e altri dettagli di almeno 44 minorenni uccisi dalle forze di sicurezza iraniane durante le proteste in corso e ha denunciato i metodi crudeli con cui le loro famiglie vengono costrette a restare in silenzio e sono ostacolate nello svolgimento di funerali e commemorazioni.

Secondo le ricerche di Amnesty International, 34 dei 44 minorenni sono stati uccisi da proiettili mirati al cuore, al capo e ad altri organi vitali. Altri quattro sono stati uccisi da pallini di metallo esplosi da breve distanza; cinque, tra cui una ragazza, sono morti a seguito di pestaggi; infine, una minorenne è morta dopo essere stata colpita al capo da un candelotto lacrimogeno.

L’età di 39 delle vittime di sesso maschile andava dai due ai 17 anni; una bambina aveva sei anni, le altre quattro tra i 16 e i 17 anni. 

I minorenni rappresentano finora il 14 per cento del totale delle persone uccise durante le manifestazioni. In 12 casi le autorità iraniane hanno attribuito le loro morti ad “azioni di terroristi”, suicidi, overdose, morsi di cani o incidenti stradali.

Il 60 per cento dei minorenni uccisi dalle forze di sicurezza apparteneva alle minoranze oppresse baluci e curda: 18 delle 44 vittime erano baluci, 10 curde. 

Le autorità iraniane minacciano regolarmente le famiglie delle vittime per costringerle a stare in silenzio o ad accettare la narrazione ufficiale che assolve le forze di sicurezza da ogni responsabilità. In almeno 13 casi, hanno dovuto approvare la versione delle autorità in forma scritta o attraverso video poi trasmessi dalle tv di stato iraniane. Nel caso in cui si oppongano, i parenti delle vittime sono minacciati di arresto, morte, stupro e uccisione di altri minorenni della famiglia oppure viene detto loro che i loro cari verranno sepolti in luoghi sconosciuti o che le salme non verranno restituite per i funerali. In alcuni casi, i familiari sono stati obbligati a seppellire i loro cari in località remote, a non usare la parola “martire”, a non produrre manifesti coi loro volti e a non condividere immagini sui social media.



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