Iran. Prima esecuzione di un manifestante. Altri sette giovani condannati a morte. Il Time "Le donne iraniane eroine dell'anno"

di redazione 08/12/2022 NON SOLO OCCIDENTE
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La magistratura della Repubblica islamica ha annunciato che Mohsen Shekari - arrestato nell'ambito delle manifestazioni che, da quasi tre mesi, chiedono maggiori libertà in Iran - è stato giustiziato. Si tratta della prima esecuzione di un manifestante dall'inizio delle proteste anti-governative nel Paese, scattate a metà settembre dopo la morte, in custodia della polizia morale, di Mahsa Amini.

Come ricorda la Bbc nella sua edizione in farsi, un tribunale rivoluzionario aveva giudicato Shekari colpevole del reato di "guerra contro Dio" per aver bloccato una strada "con l'intento di creare terrore e uccidere" e aver ferito "intenzionalmente", con un'arma da taglio, un membro della forza paramilitare dei Basij, mentre era in servizio. Secondo la magistratura, l'imputato avrebbe confessato. La sentenza era stata poi confermata dalla Corte Suprema.

Gli attivisti avvertono che anche altri manifestanti potrebbero essere presto giustiziati: sono almeno sette le persone arrestate nell'ambito delle manifestazioni e finora condannate alla pena capitale. "Bisogna rispondere in modo forte, con misure concrete a livello internazionale, all'esecuzione di Mohsen Shekari, altrimenti dovremo affrontare esecuzioni quotidiane di manifestanti", ha scritto Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore del gruppo di attivisti Iran Human Rights con sede a Oslo. 

Shekari era stato arrestato il 25 settembre, poi condannato il 20 novembre con l'accusa di "moharebeh", una parola farsi che significa appunto "guerra contro Dio", accusa che comporta la pena capitale. Le autorità iraniane stanno reprimendo con violenza il movimento di protesta, iniziato con le donne che manifestavano per maggiori libertà e il rispetto dei loro diritti umani e arrivato ormai a coinvolgere anche gli uomini e diverse classi sociali uniti dalla richiesta di mettere fine al sistema stesso della Repubblica islamica. Secondo le Ong per i diritti umani, le vittime della repressione da metà settembre sono oltre 400, di cui una sessantina minorenni.

 

lntanto il prestigioso Time, oltre al riconoscimento alla persona dell'anno, ha attribuito alle donne dell'Iran il riconoscimento di "eroine dell'anno", per le proteste cominciate quasi tre mesi fa, il 16 settembre, a seguito della morte della 22enne curda Mahsa Amini mentre era in custodia della polizia morale a causa di una ciocca di capelli che fuoriusciva dall'hijab, il velo islamico obbligatorio nella Repubblica islamica a guida sciita.

Secondo alcuni analisti le proteste coinvolgono oramai l'80% del Paese e rappresentano la più grande minaccia alla Repubblica islamica dalla sua costituzione nel 1979. Gli iraniani chiedono riforme strutturali sia sociali che economiche, dopo anni di crisi trascinata dalle sanzioni cominciate col patto per il nucleare (Jcpoe), arenatosi nel 2018.

Protagoniste indiscusse di queste proteste, le giovani iraniane della generazione Z - sottolinea il magazine americano - vivono una vita che è sempre più "in contrasto" con il messaggio ideologico della Repubblica islamica, tra una repressione sempre più forte e le sanzioni statunitensi che hanno devastato l'economia del Paese mentre il sistema di potere appare "paralizzato" e "preferisce l'isolamento" internazionale.

"Tra i tanti motivi per cui la ribellione sta andando avanti da così tanto tempo c'è la risposta balbettante di un governo che riconosce la fondatezza della denuncia. Ci sono vecchie élite rivoluzionarie che hanno messo in guardia da un sistema che ha completamente smarrito la strada, non può più permettersi di sovvenzionare la sua base sociale tradizionale, ha alienato tutti gli altri, compresi i religiosi, e ha subordinato il benessere dei suoi cittadini alla sicurezza", prosegue il Time nella sua analisi.

"Il movimento che stanno guidando è istruito, liberale, laico, cresciuto con maggiori aspettative", sottolinea il magazine, spiegando che tra le rivendicazioni alla base delle proteste delle donne ci sono "università e viaggi all'estero, lavori dignitosi, stato di diritto, accesso all'Apple Store, un ruolo significativo in politica, la libertà di dire e indossare qualunque cosa". 

La protesta cominciata con le donne è poi divenuta sempre più massiccia e trasversale. Secondo le ong dei diritti umani sono quasi 500 le vittime della forte repressione da parte degli ayatollah al potere che considerano i manifestanti "nemici di Dio", reato che porta fino alla pena di morte in vigore nel Paese. Tra le vittime sono molte le eroine adolescenti rimaste uccise nelle proteste dal pugno di ferro dei pasdaran e dei basij.

Sono 18.000 gli arrestati e una ventina le condanne già emesse, davanti all'incredulità e alle critiche della comunità internazionale, che chiede il rispetto dei diritti umani e di genere nel grande paese del Medioriente.



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