Nope

Al di là delle intenzioni del suo stesso autore il nuovo film di Jordan Peele alla fine altro non è che un western mascherato

di 22/08/2022 ARTE E SPETTACOLO
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Prima di trattare di di Nope, terzo lungometraggio di Jordan Peele (qui la recensione del suo esordio Get out  http://www.euroroma.net/5914/ARTEESPETTACOLO/get-out-jordan-peele-ribalta-gli-stereotipi-razzisti-in-un-film-che-mescola-horror-e-satira-.html) occorre fare una doverosa premessa.

Il film è stato concepito da Peele durante la pandemia anche come risposta al dover rimanere chiusi in casa, quindi è stato immaginato come uno spettacolo da vedere sul grande schermo ma soprattutto, come dichiarato dal suo stesso autore si tratta di un film sullo spettacolo e la nostra dipendenza da esso.

Lungi da noi l’idea di contestare quanto dichiarato da Peele medesimo, nessuno meglio di lui può dirci di cosa volesse parlare il suo nuovo film.

D’altronde sino ad ora l’idea, il messaggio, la metafora, chiamatela come volete, è stata centrale nell’opera del regista, spesso a discapito del film stesso che ha finito per esserne fagocitato.

Quindi accettiamo supinamente l’interpretazione di Peele stesso così come le altre possibili letture, tutte lecite, che vanno per la maggiore.

Va bene, Nope può essere visto (anche) come un film sul cinema, sul rapporto tra analogico e digitale ed infine sull’importanza, ancora una volta, del montaggio e sul ruolo demiurgico del regista.

Può essere letto come un atto di accusa nei confronti dello sfruttamento da parte dell’uomo tanto della natura quanto degli animali, come una riflessione critica sullo show business e sulla smania di apparire a tutti i costi, oppure volendo come un’immensa metafora sulla progressiva perdita della capacità di saper guardare veramente a fondo, il che appare tanto più assurdo in un’epoca dominata dai cellulari.

Non guardare in faccia l’orrore e/o l’abisso è uno dei tanti insegnamenti di Nope.

Tuttavia noi continuiamo nel nostro piccolo a pensare che stavolta le possibili letture metaforiche del film e la gara a chi ne da la più originale e profonda tendano a portare fuoristrada.

Forse, più banalmente, Nope è un film di fantascienza pieno zeppo di spirito cinefilo particolarmente debitore nei confronti di Spielberg che è il più saccheggiato di tutti ed ognuno può divertirsi a cogliere i titoli omaggiati anche se non mancano mille altri “omaggi”.

Insomma nulla di nuovo sotto il sole con in più un certo spirito da film di serie B, soprattutto negli effetti speciali, dovuto però più che altro ad un budget generoso ma senza esagerare.

Per quanto ci riguarda la nostra impressione è che però Nope sia soprattutto un film western mascherato da altro, come spesso accade nella miglior tradizione di un certo cinema americano moderno, basti pensare a Il buio si avvicina di Kathryn Bigelow e soprattutto al cinema di John Carpenter.

Insomma anche Peele, alla fine, non ha saputo resistere al mito della frontiera e al genere cinematografico americano per eccellenza e che anzi ha incarnato l’epica stessa degli Stati Uniti.

Bisogna tuttavia chiarire cosa si intenda per western che qui non abbiamo certo a che fare con gli indiani.

Piuttosto a rivivere sullo schermo è il mito dell’eroe solitario, incarnato stavolta da OJ (Daniel Kaluuya) e soprattutto la fascinazione visiva per gli spazi sconfinati tipici del paesaggio americano.

Non è un caso che, alla fine dei conti, OJ sia un allevatore di cavalli che vive in un ranch isolato, insomma il più tipico degli eroi western, il cavaliere solitario (come sottolineato forse anche ironicamente dallinquadratura finale), rivisto ovviamente in chiave moderna.

Così come forse non è casuale che vicino al suo ranch ci sia un parco divertimenti che ricostruisce proprio quel western visto tante volte al cinema.

L’altro archetipo che sfrutta Jordan Peele è quello dell’uomo che lotta contro la natura avversa ed in particolare contro un nemico animale, in molti, dati i debiti nei confronti di Spielberg hanno citato Lo squalo, saccheggiato persino nello stratagemma finale ma, in realtà, è una storia vecchia come il mondo la stessa, tanto per intendersi, narrata in Moby Dick.

Vi è però anche un secondo film dentro Nope e riguarda il personaggio di Ricky (Steven Yeun) e l’incidente con uno scimpanzé ispirato, probabilmente, al caso di Charla Nash (https://it.wikipedia.org/wiki/Travis_(scimpanz%C3%A9)).

A nostro avviso questa poteva essere la parte più interessante di Nope.

Peccato tuttavia che il personaggio di Ricky sia letteralmente gettato alle ortiche e che tutta questa parte venga sprecata in modo talmente sciatto e superficiale da dare quasi fastidio.

Per non parlare poi del pudore mostrato da Jordan Peele appena un barlume di violenza si affacci nel suo film e di come il regista si affretti a lasciare tutto rigorosamente fuori campo forse preoccupato più di una futura acquisizione da parte di Netflix che non del film stesso, per tacere infine di quella vena comica che, se rappresenta le origini del regista, francamente al terzo film comincia a mostrare la corda.

Che continui ad esserci di meglio in giro è un dato di fatto, basti pensare al discorso, quello sì veramente meta cinematografico, del recente X di Ti West (http://www.euroroma.net/11325/ARTEESPETTACOLO/x.html) e per quanto ci riguarda ancora una volta non riusciamo a condividere un entusiasmo che continua a sembrarci eccessivo.

EMILIANO BAGLIO


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