Riforma della Giustizia. Il difficile iter parlamentare. I nodi critici della Riforma

di redazione 28/07/2021 POLITICA
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In Parlamento

Respinta dalla commissione Giustizia della Camera la richiesta di Forza Italia di allargare il perimetro del contenuto della delega sul processo penale, è ancora incognita sui tempi.

La riforma, che dovrebbe incassare il primo via libera di uno dei due rami del Parlamento per la fine di luglio - almeno questo è l'obiettivo, legato alle scadenze dettate dal Pnrr - è attesa in Aula venerdì per la discussione generale e il governo porrà la questione di fiducia per accelerarne l'esame (ed evitare ulteriori modifiche).

Tuttavia, la commissione difficilmente potrà entrare nel vivo, con le votazioni sugli emendamenti, finché non terminerà la mediazione in atto tra governo e forze politiche, M5s in testa, su alcune modifiche da apportare al testo degli emendamenti predisposti dalla Guardasigilli che, a loro volta, vanno a modificare il testo originario a firma Bonafede.

Sia lunedì che martedì la ministra Marta Cartabia ha varcato il portone di palazzo Chigi. Mentre il leader in pectore dei pentastellati, Giuseppe Conte, ha avvertito l'esecutivo: senza modifiche sulla parte relativa alla prescrizione non è scontato il sì del Movimento alla fiducia. In attesa di capire quale sarà l'esito della mediazione in atto, e se questa soddisferà i 5 stelle, in commissione ci si interroga sui tempi e si fa sempre più insistente, viene spiegato da diverse fonti di maggioranza, l'ipotesi che l'esito della 'trattativa' sarà messo nero su bianco in un unico emendamento della commissione stessa (e non quindi del governo), che sarà poi messo ai voti assieme alle altre proposte di modifica già presentate.

Salvo accelerazioni delle ultime ore, la commissione Giustizia non dovrebbe tornare a riunirsi prima di mercoledì pomeriggio, come ha spiegato il presidente Mario Perantoni - anche a causa dei concomitanti lavori dell'Aula sul dl Cybersicurezza - auspicando che i tempi vengano rispettati, ovvero che "la mediazione arrivi entro giovedì", così da licenziare il testo del ddl penale per l'Aula venerdì.

Una volta terminato l'esame in commissione, la riforma sarà in Aula e il governo porrà la fiducia su un unico maxiemendamento, è l'ipotesi che circola a Montecitorio. Se, dunque, la mediazione dovesse vedere la luce entro giovedì, venerdì si svolgerebbe la discussione generale in Aula, con il voto di fiducia che si ipotizza per la giornata di sabato, mentre domenica si potrebbe svolgere il voto finale sul provvedimento. Ma secondo altre fonti si potrebbe slittare anche alla prima settimana di agosto, dando priorità ai decreti in scadenza e da convertire in legge. 

I PUNTI CRITICI DELLA RIFORMA

La riforma Cartabia non renderà impunibili solo i reati commessi dopo il 1° gennaio 2020, ma molto probabilmente anche quelli precedenti. Tra cui il crollo del ponte Morandi, il disastro di Rigopiano, la trattativa Stato-mafia. Lo dicono avvocati, accademici e persino la Corte costituzionale, che ha sempre espresso un principio chiaro: le norme penali più favorevoli si applicano retroattivamente ai processi in corso, e la legge non può – come fa il testo del Governo – limitarne l’applicazione nel tempo senza una valida ragione. “Dal punto di vista costituzionale, quella norma è piuttosto pericolante“, conferma al fattoquotidiano.it Pasquale Bronzo, docente di procedura penale alla Sapienza di Roma. E la Guardasigilli lo sa benissimo. L’ultima sentenza a esplicitare il principio, infatti, è la 63 del 2019: il presidente della Consulta è Giorgio Lattanzi, proprio l’ex magistrato voluto da Cartabia a capo della commissione di studio del progetto di riforma. Il relatore è il penalista Francesco Viganò. E tra i nove giudici del collegio c’è lei, la studiosa di diritto costituzionale ora ministra della Giustizia. La regola fondamentale da cui parte il ragionamento è quella dell’articolo 2, quarto comma del codice penale, il principio di retroattività della legge penale più favorevole: “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.

Ma il valore di questo principio, spiega la Corte, non è quello di una semplice norma di legge ordinaria. “La regola dell’applicazione retroattiva della lex mitior (la legge meno severa, ndr) in materia penale”, si legge, “non è sprovvista di fondamento costituzionale: fondamento che la costante giurisprudenza di questa Corte ravvisa anzitutto nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis (la depenalizzazione, ndr) o la modifica mitigatrice”. Quindi: l’imputato sotto processo ha il diritto di godere della norma più favorevole, anche se non era in vigore nel momento in cui ha commesso il reato. E a dirlo non è solo la Costituzione ma il diritto internazionale ed europeo: la retroattività, ricordano i giudici, “è in particolare enunciata tanto dall’art. 15, comma 1, terzo periodo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici (…) quanto dall’art. 49, paragrafo 1, terzo periodo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.

È per questo che nel 2006 un’altra pronuncia della Consulta – citata da Lattanzi, Cartabia e gli altri – ha dichiarato incostituzionale una norma molto simile a quella con cui la Cartabia esclude dai propri effetti i reati commessi prima del 2020. Era l’articolo 10, comma 3 della legge ex-Cirielli – la famosa “accorcia-prescrizione” voluta dal secondo governo Berlusconi – che proibiva di applicare la prescrizione più breve ai processi in cui fosse già stato aperto il dibattimento di primo grado. La regola, concludeva la sentenza, “limita in modo non ragionevole il principio della retroattività della legge penale più mite e viola l’art. 3 della Costituzione”: quel principio infatti “può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo“, e in quel caso, secondo la Corte, non ce n’erano. Cosa succederebbe se, all’entrata in vigore della riforma Cartabia, gli imputati per reati anteriori al 2020 chiedessero l’applicazione retroattiva delle nuove norme, come hanno già annunciato alcuni legali nel processo per il crollo del Morandi? Non c’è motivo di pensare che la decisione dovrebbe essere diversa.



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