In ogni istante

Attraverso la formazione dei futuri infermieri Nicolas Philibert costruisce un documentario umanista che è un'esaltazione del modello democratico e multiculturale francese.

di EMILIANO BAGLIO 04/03/2021 ARTE E SPETTACOLO
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disponibile in streaming su https://www.mymovies.it/ondemand/wantedzone/


In ogni istante si apre con qualcosa che abbiamo imparato bene a conoscere, le sette fasi del lavaggio delle mani.

Il nuovo lavoro di Nicolas Philibert nasce come una sorta di riconoscimento al personale sanitario che si è occupato di lui in seguito al ricovero per un’embolia.

A due anni di distanza, inevitabilmente il suo viaggio nell’Institut de formation en soins infirmiers assume un sapore diverso, una sorta di dovuto omaggio a questi professionisti così bistrattati nel nostro paese la cui importanza abbiamo imparato bene a conoscere grazie alla pandemia.

Il risultato è un’opera tripartita.

Si comincia con la scuola vera e propria e le varie lezioni dei futuri infermieri.
Apparentemente l’autore cerca di essere il più invisibile possibile, anche grazie alla lavorazione durata un anno.

Così lo spettatore, insieme a questi allievi, scopre come si fanno le diverse iniezioni o un massaggio cardiaco o come funzionano le diverse medicine, tra lezioni pratiche e teoriche.

Philibert ci porta in un mondo, prevalentemente femminile, fatto di giovani soprattutto di origini extracomunitarie e riesce a rendere il grande senso di complicità tra gli studenti, la gioia e lo stupore di riuscire, finalmente, a prendere bene la pressione; i momenti di sconforto e quelli di gioia perché si possono imparare cose fondamentali per la nostra vita anche con leggerezza e tra le risate.

In questo apprendistato ci sono due momenti fondamentali, evidentemente scelti apposta dal regista.

Il primo riguarda i diritti/doveri dei futuri operatori sanitari ed ha molto a che vedere con la dignità ed il rispetto del loro lavoro.

Non sappiamo come vadano le cose in Francia, sicuramente qui in Italia troppo spesso gli infermieri sono vittime di sfruttamento e di pessime condizioni lavorative.

Il secondo momento riguarda la lezione su cosa debba fare un infermiere per accompagnare quello che oggi è chiamato “il fine vita”, cosa può fare per alleviare il dolore ed aiutare il paziente e dove questo aiuto potrebbe sconfinare con l’eutanasia.

Nella seconda parte gli insegnamenti appresi sono messi alla prova durante gli stage che ogni anno svolgono gli studenti.

Infine, in una sorta di crescendo, assistiamo ai colloqui tra studenti e professori alla fine di tali stage.

È qui che, improvvisamente, il documentario si trasforma in qualcosa d’altro.

C’è la ragazza straniera alla quale hanno rubato il computer che viene consolata e supportata dalla propria insegnante che si preoccupa, più che dei risultati scolastici, del fatto che le venga riparata la finestra che è stata rotta durante il furto.

C’è la ragazza di origini arabe che, grazie alle sue conoscenze linguistiche, si è ritrovata, durante lo stage, a fare da interprete tra i pazienti e lo staff medico.

Ci sono le esperienze positive e quelle negative.

La fatica di chi, date le condizioni economiche non propriamente floride della maggior parte degli studenti, si barcamena con grandissima fatica fra tre lavori, le lacrime di chi ha avuto difficoltà con l’equipe medica con la quale si è ritrovata a lavorare o il ragazzo musulmano che ha portato avanti lo stage ed il digiuno per il ramadan.

Quello che emerge, ancora una volta, è il profondo sguardo umano dell’autore.

Philibert, attraverso questo piccolo spicchio di mondo, riesce a restituirci uno sguardo complesso sulla realtà della Francia di oggi.

Ne viene fuori quasi un’ode al sistema meritocratico francese, al rispetto nei confronti della dignità del lavoro, un’esaltazione della democrazia del suo paese e della riuscita integrazione multiculturale che è presentata come un dato di fatto che si manifesta nella realtà di tutti i giorni.

Ancora una volta tutto sta nel saper guardare.

 

EMILIANO BAGLIO


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