Malcolm & Marie

Il primo film girato in piena pandemia Covid-19.

di EMILIANO BAGLIO 19/02/2021 ARTE E SPETTACOLO
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Disponibile su Netflix.


Per chi non lo sapesse Malcolm & Marie è stato realizzato in piena pandemia Covid-19, in un unico ambiente, con una troupe ridotta e solo due attori, John David Washington e Zendaya

Sono due le direttrici lungo le quali si sviluppa il film.

La prima riguarda il rapporto tra i due protagonisti e sinceramente è la parte meno interessante.

Malcolm ha appena presentato il suo esordio come regista e tutto nasce dal fatto che durante il suo discorso di ringraziamento si è dimenticato di citare Marie.

La quale, nonostante abbia visto il film “più di settemila volte”, si accorge solo ora che la pellicola è ispirata alla sua storia di ex tossicodipendente.
Quindi, giustamente, si arrabbia due volte.

Come se non bastasse, all’improvviso, gli rinfaccia pure di non averla scelta come attrice protagonista; cosa che, evidentemente, non poteva fare prima e giusto per fargli capire che terribile errore abbia compiuto, gli dimostra quanto sarebbe stata brava.
Malcolm, dal canto suo, vuota il sacco e rivela tutto il suo passato, svelando particolari delle sue precedenti relazioni con altre donne, tra le quali una anch’essa tossica.
Se ne deduce che forse il film presentato da Malcolm non sia stato del tutto ispirato da Marie ed inoltre che non vi sia molta comunicazione tra i due.

In ogni caso la discussione, tra alti e bassi, va avanti per tutta la durata dell’opera. La coppia si rinfaccia di tutto, senza lesinare i colpi bassi anche se, alle volte, sembra tornare la pace. Basta poco però perché si ricominci da capo.

In qualche modo, però, bisogna pure arrivare alla conclusione e così dopo 106 minuti di alterco Malcolm chiede scusa, definitivamente, a Marie e la mattina dopo il rapporto tra i due, apparentemente, sembra riprendere tranquillamente come se nulla fosse.

Facile sentirsi presi in giro.

Evoluzione dei personaggi? Assente.

Credibilità dei dialoghi e dell’intera situazione? Prossima allo zero.

Chissà da quanto stanno insieme Malcolm e Marie, chissà sino alla notte al centro del film di che hanno parlato. Probabilmente di nulla visto che pare non sappiano niente l’uno dell’altro.

Per fortuna c’è l’altro tema.

Malcolm, come abbiamo detto, è un regista e ci tiene a farci sapere le sue opinioni sul cinema.

Vuole farci sapere, ad esempio, sin dall’inizio, che è contrario alle letture politiche della sua opera.

Così, riferendosi all’odiata critica cinematografica del La Times, dice “La cosa interessante è stata che, essendo io un regista nero ed avendo scelto una protagonista nera, stava cercando di politicizzare il mio film, quando in realtà è un film su una ragazza che vuole disintossicarsi.”.

Più tardi, quando finalmente leggerà il pezzo scritto dalla giornalista, si lancerà in un lungo monologo in cui sosterrà che “il cinema non deve per forza celare un messaggio” e che sia sostanzialmente impossibile conoscere le motivazioni profonde che abbiano guidato alcune scelte artistiche.

La domanda di fondo è “Cosa guida un regista” e la risposta è che “nessuno lo sa”.

Insomma Sam Levinson, regista di Malcolm & Marie, attraverso le parole del suo protagonista, sferra un attacco diretto nei confronti dei critici e crea pure un cortocircuito interessante, visto che è bianco.

Innanzitutto li accusa di ignoranza, visto che non sanno distinguere nemmeno i movimenti di macchina e poi, soprattutto, si scaglia contro le letture politiche dei film, contro la continua ricerca di messaggi nascosti.

Viene quasi il sospetto che non gli sia andato giù qualche articolo riguardo il suo precedente Assassination nation, che, oltre ad essere molto meglio di questo, era una satira, folle, pop, colorata e feroce, nei confronti degli Stati Uniti.

Sam Levinson ci tiene a difendere l’autonomia del regista, l’impossibilità di sondare, sviscerare ed analizzare i film e ci tiene anche a far sapere a tutti che è un ragazzo colto, laureato che ama William Wyler e Billy Wilder e che conosce Gillo Pontecorvo.

“Perché Pontecorvo, un ricco ebreo italiano ha sentito un’affinità con i guerriglieri musulmani tanto da girare La battaglia di Algeri?” chiede ad un certo punto Malcolm.
Qualcuno spieghi a Sam Levinson chi era Pontecorvo, qual è stata la sua storia ed il suo pensiero e magari ne approfitti pure per fargli capire che non basta girare un film in bianco e nero per essere Ingmar Bergman.
Per quanto riguarda invece gli spettatori, se vogliono vedere un film girato in un unico ambiente e con troupe ridotta a causa della pandemia, possono ripiegare su Let them all talk di Steven Soderbergh e godersi Meryl Streep, Dianne West e Candice Bergen.

 

EMILIANO BAGLIO


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