Pinocchio di Guillermo Del Toro

Amore, morte, sacrificio, affermazione di sé, antifascismo e ribellione ovvero Pinocchio secondo Guillermo Del Toro.

di EMILIANO BAGLIO 09/12/2022 ARTE E SPETTACOLO
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Disponibile su Netflix.

Nel nuovo film di Guillermo del Toro (girato insieme con Mark Gustafson) del libro di Collodi rimane ben poco, qualche episodio sparso figlio tanto del libro quanto della versione Disney del 1940.

In particolare il personaggio di Conte Volpe (Christoph Waltz) che riunisce in sé tanto Mangiafuoco quanto Il gatto e La Volpe; Lucignolo, l’episodio del pescecane, il grillo parlante (Ewan McGregor) e poco altro.

Com'era già accaduto in A.I. di Spielberg (su progetto di Kubrick) il personaggio di Pinocchio serve da spunto a Del Toro per dare vita ad un film totalmente personale che, tra l’altro cambia il senso del testo originario.

In Collodi avevamo la storia di un burattino che diventa bambino, attraverso un percorso di maturazione e presa di coscienza che è stato letto tanto dal punto di vista esoterico quanto teologico, qui invece abbiamo a che fare con tutt’altro.

Il film si apre con la storia di Geppetto (David Bradley) prima della creazione di Pinocchio, quando il falegname era il padre felice (seppur vedovo) del piccolo Carlo il quale però muore durante un bombardamento aereo (siamo ai tempi della Prima Guerra Mondiale).

Da quel momento Geppetto finisce in una spirale di depressione e di alcool.

Pinocchio (Gregory Mann) viene creato dal nostro, completamente ubriaco, quindi in un momento di rabbia come sostituto proprio del figlio scomparso in una delle scene più potenti del film che, per altro, cambia completamente il tono ed il senso di tutta la storia.

Questo Pinocchio, figlio del dolore, sarà costretto tutto il tempo a confrontarsi con il fantasma di quel figlio perduto, con tutto ciò che ne conseguirà sia in termini di frustrazione quanto di rifiuto da parte del genitore che non vuole assolutamente un nuovo figlio.

Questa dunque non è la vicenda di una trasformazione da burattino a carne viva ma è un percorso di autoaffermazione di sé e di accettazione della propria personalità tanto da parte di un padre che non ti vuole quanto di una società ostile.

Per di più, su tale sfondo, Del Toro ambienta tutta la vicenda nell’Italia fascista.

Il suo Pinocchio è un film esplicitamente politico e militante nel quale il Duce è letteralmente paragonato ad un pezzo di merda senza troppi giri di parole.

Qui sta probabilmente il valore eversivo del film di Del Toro.

Pinocchio è l’unico che da subito ed apertamente rifiuta tutto ciò che è ordine costituito, sia essa la scuola o la retorica fascista fatta di figli come Lucignolo da sacrificare alla patria da parte dei genitori podestà (Ron Perlman) con la complicità dei preti locali.

In una realtà fatta di burattini che obbediscono ciecamente al potere e alle sue ingiustizie l’unico a ribellarsi è proprio un burattino.

Pinocchio diviene allora il simbolo della ribellione e del rifiuto di una società sostanzialmente ingiusta e dei suoi orrori, siano essi la dittatura, la guerra o la sopraffazione dei più deboli mirabilmente incarnata da quel meraviglioso personaggio che è la scimmia Spazzatura (Cate Blanchett).

Il nostro burattino diviene un esempio vivente che aiuta gli altri a prendere coscienza di sé e a liberarsi dalle proprie catene, un processo che vedrà Spazzatura ribellarsi al proprio padrone/carnefice Conte Volpe e che toccherà l’apice con il rifiuto della retorica militaresca da parte di Lucignolo che, finalmente, troverà il coraggio di dire no al proprio padre.

Pinocchio non si trasformerà mai in qualcosa d’altro, non è lui che deve compiere una trasformazione, lui è l’esempio vivente che si può e si deve essere sé stessi e non delle pallide copie di figli morti sino a farsi accettare da Geppetto per quello che si è e non quello che si vorrebbe che fossimo.

Sono i padri a dover accettare i propri figli per quello che sono e non i figli che devono adeguarsi alle loro aspettative.

Durante questo percorso Pinocchio incontrerà il rifiuto paterno, il dolore, la morte (Tilda Swinton) ed infine il sacrificio.

Tutti temi di uno dei film più complessi e profondi visti quest’anno e che ora dovrà confrontarsi con la visione domestica su Netflix dopo un troppo fugace passaggio in sala.

Speriamo che il grande pubblico sia in grado di comprendere un’opera così profonda e radicale e che richiede una visione attenta della quale spesso non sembriamo più capaci.

EMILIANO BAGLIO


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