61 Festival dei Popoli. Todd Chandler: Bulletproof (2020) - Highlights.

La complessità del problema della sicurezza nelle scuole americane analizzata in tutti i suoi aspetti.

di EMILIANO BAGLIO 24/11/2020 ARTE E SPETTACOLO
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Sono passati 13 anni dall’Oscar vinto da Bowling a Columbine, ma le cose negli Stati Uniti non sembrano cambiate poi tanto.

Todd Chandler, a differenza di Michael Moore, non è però interessato a realizzare un film inchiesta per dimostrare una tesi di fondo, il suo Bulletproof è un vero e proprio documentario.
Lo scopo è quello di apparire il più neutrali possibili, confidando nel fatto che sarà la realtà stessa a permettere allo spettatore di trarre delle (eventuali) conclusioni.

Il tema, ancora una volta, è quello della sicurezza nelle scuole americane, sviscerato in tutti i suoi aspetti, data la complessità dell’argomento.

Quello che appare chiaro è che tale questione rappresenta un vero e proprio business con tanto di fiere dedicate ad esso, un mercato fiorente ed una competizione tra le aziende per offrire servizi sempre più sofisticati.

In tal senso è esemplare una delle tante storie narrate, quella di una giovane studentessa che, dopo l’omicidio della sua vicina di casa, comincia a creare felpe in kevlar trasformandosi, nel giro di un anno in una vera e propria imprenditrice.

Segno evidente di quanto tale segmento di mercato sia in espansione.

Gli attacchi armati nelle scuole, e la violenza più in generale, sono acquisiti come un dato di fatto.

La domanda, dunque, non è se accadranno, ma quando, e dunque cosa fare per prevenirli e minimizzare il numero delle vittime.

Da qui la necessità, da parte degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, di dotarsi di sistemi di difesa sempre più sofisticati.

Le scuole americane, viste da qui, sembrano istituti di massima sicurezza.

Guardie armate ovunque, telecamere in ogni punto, metal detector.

Ed ancora sistemi di sorveglianza sofisticatissimi nei quali è possibile bloccare automaticamente ogni singola porta e tutti sono dotati di bagde con incorporato tracciamento GPS per sapere, in ogni istante, la loro esatta posizione.

Stanze blindate da porre in ogni aula in caso di attacco, finestre con tapparelle che si abbassano automaticamente, porte rinforzate, lavagne antiproiettile da usare per costruire improvvisate barricate; l’elenco potrebbe durare a lungo.

Ovviamente questa necessità presenta svariati rovesci della medaglia.

Il primo è rappresentato dalla gestione del budget.

Da quel che si capisce molti stanziamenti sono proprio legati al grado di sicurezza offerto dalle varie scuole.

Il che vuol dire, come confessa amaramente un preside, che è in tale direzione che vano spesi i soldi piuttosto che in programmi di prevenzione o di supporto agli alunni più fragili o di sostegno psicologico del quale, come si capisce durante la visione, sembra esserci un disperato bisogno.

Ed è proprio qui che Bulletproof compie una deviazione, anche difficilmente comprensibile per un pubblico non americano, addentrandosi nella descrizione di quella che sembra essere un’altra consuetudine per gli studenti statunitensi.

Sin dalle elementari, infatti, in ogni classe ci sono momenti di vera e propria meditazione quasi zen in cui si impara la respirazione come mezzo per calmarsi.

L’importanza data a questa tecnica sembra essere direttamente collegata sia con l’abuso di psicofarmaci sin dall’età adolescenziale, sia con i continui livelli di stress cui sono sottoposti i ragazzi.

Non solo Prozac e simili girano come fossero acqua corrente ma le continue esercitazioni, come confessa un ragazzo, stressano più di un attacco vero e proprio.

Ovviamente, non manca nemmeno la parte dedicata al vero protagonista di tutta la questione, ovvero la proliferazione delle armi.

Anche in questo caso Chandler, più che offrire facili risposte, preferisce analizzare le contraddizioni di un simile sistema.

Non mancano quindi le riprese di accessi dibattiti pubblici tra autorità, forze di polizia, genitori e studenti su come affrontare il problema e se armarsi ancora di più sia la risposta migliore, su chi siano le prime vittime di questo sistema e su quali potrebbero essere le vie alternative e forse più fruttuose per affrontare la questione.

Ma per ogni dubbio sollevato sulla libertà di girare armati c’è il contraltare di scuole dotate di casseforti che straripano di fucili.

Persino il corpo docente non è immune e sono in molti a seguire corsi in cui si impara tanto a sparare quanto ad avere nozioni di primo soccorso.

Bulletproof però non fornisce risposte, non offre soluzioni.

Registra la complessità della realtà e pone domande, che è esattamente ciò che dovrebbero fare simili documentari.

EMILIANO BAGLIO


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