L'Etiopia dilaniata dalla guerra. Rischio catastrofe umanitaria e allargamento del conflitto all'intera regione

di redazione 24/11/2020 NON SOLO OCCIDENTE
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L’Etiopia è in fiamme. Una guerra devastante sta mietendo vittime e spargendo sangue. L’attuale conflitto vede in contrapposizione il governo federale e il Fronte di liberazione del Tigrè (Tplf), il partito che domina quella Regione.

Questa contrapposizione interna porta con sé un problema più ampio, atavico: quello del colonialismo e del post-colonialismo.

L’attuale conflitto preoccupa gli osservatori internazionali per le sue atrocità e perché potrebbe allargarsi anche ai Paesi limitrofi. Gli scontri armati tra gli schieramenti sono iniziati la prima settimana di novembre e si sono via via intensificati.

Il regime eritreo, guidato dal dittatore Isaia Afwerki, è tradizionalmente ostile al governo regionale del Tigrè. Tra il 1998 e il 2000 Etiopia ed Eritrea combatterono una sanguinosa guerra di confine, conclusa ufficialmente solo nel 2018 con la firma di un trattato di pace. Allora il governo federale etiope era dominato dal TPLF, che pur rappresentando un’etnia molto minoritaria in Etiopia – quella dei tigrini, che abitano la regione del Tigrè – aveva mantenuto per decenni un ruolo incredibilmente influente nella politica nazionale etiope. Nonostante il trattato di pace, anche dopo il 2018 i rapporti tra TPLF e governo eritreo non migliorarono: tra le altre cose, il trattato era stato possibile grazie alle politiche di apertura del primo ministro etiope, Abiy Ahmed, la cui elezione era coincisa proprio con l’esclusione dal governo federale del TPLF.

Un coinvolgimento dell’Eritrea nel conflitto potrebbe far precipitare una situazione che già nell’ultima settimana sembra essere rapidamente peggiorata.

Secondo la televisione di stato etiope, almeno 500 persone sarebbero state uccise nel conflitto, anche se il numero potrebbe essere molto più alto: le informazioni che arrivano dal Tigrè sono poche e parziali, perché ai giornalisti non è permesso andare dove si combatte e le comunicazioni tra la regione e il resto del paese sono bloccate. Più di 25mila abitanti del Tigrè, inoltre, sono stati costretti a lasciare le proprie case a causa dei combattimenti, e si sono rifugiati nel vicino Sudan, mentre negli ultimi giorni sono diventati sempre più frequenti i racconti di atrocità commesse dai soldati di entrambe le parti contro i civili. L’ONU ha già parlato del rischio di un disastro umanitario, con milioni di persone che potrebbero presto rimanere senza cibo e carburante.

Non è chiaro nemmeno quale sia la situazione sul terreno, anche se sembra che l’esercito federale sia riuscito a ottenere qualche vittoria. Il governo di Abiy ha detto di avere preso il controllo della città di Humera, vicino al confine con il Sudan, e di Alamata, che si trova a 180 chilometri da Macallè, la città principale della regione del Tigrè.

La guerra potrebbe durare ancora molto. L’esercito etiope è formato da 140mila militari e negli ultimi anni ha sviluppato parecchia esperienza nel combattere i miliziani islamisti in Somalia e i gruppi ribelli delle regioni di confine, senza contare i due decenni di conflitto con l’Eritrea. Il fatto, ha scritto Jason Burke, corrispondente del Guardian in Africa, è che molti ufficiali dell’esercito etiope erano tigrini, e che molte delle armi più potenti in possesso dell’Etiopia si trovano nella regione del Tigrè.

I tigrini hanno un’importante storia di successi militari: nel 1991 guidarono fino ad Addis Abeba, la capitale etiope, una marcia dei ribelli che riuscì a rovesciare l’allora dittatura marxista, e nel biennio del massimo conflitto con l’Eritrea, tra il 1998 e il 2000, sostennero buona parte del peso delle operazioni militari. Ancora oggi il TPLF può contare su militari competenti e con esperienza, e su armi sofisticate. Domenica Debretsion Gebremichael, leader del governo regionale, ha detto che i suoi combattenti hanno a loro disposizione missili a lungo raggio, provocando molte preoccupazioni per un possibile attacco missilistico contro Addis Abeba.

Per questo diversi analisti sostengono che il conflitto tra esercito federale e forze locali sia più simile a una “guerra convenzionale”, combattuta quindi tra eserciti tradizionali, piuttosto che a una guerra civile come la si è soliti immaginare, combattuta tra un esercito regolare e una serie di milizie che abbracciano il sistema della guerriglia

L'organizzazione per la difesa dei diritti umani Human rights watch (Hrw) ha esortato il governo dell'Etiopia a proteggere i civili che vivono nella capitale dello Stato regionale del Tigrè, Makallè, mentre i soldati dell'esercito federale avanzano verso la città nel conflitto scoppiato lo scorso 4 novembre tra Addis Abeba e le forze fedeli al partito di governo locale, il Fronte di liberazione del popolo del Tigrè (Tplf). Il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ha concesso ieri alle forze tigrine 72 ore per arrendersi, ma il Tplf ha risposto che continuerà a combattere.

    Il direttore esecutivo di Hrw, Kenneth Roth, ha detto via Twitter che l'esercito etiope, oltre a "minacciare che non ci sarà pietà, ha il dovere di risparmiare il male anche a coloro che rimangono a Makallè". L'esercito federale etiope ha avvertito i 500 mila abitanti della capitale tigrina che l'esercito avrebbe "circondato" la città e l'avrebbe attaccata con il fuoco dell'artiglieria.
    Secondo quanto riferito, il conflitto ha ucciso centinaia di persone, sfollandone migliaia. L'Onu ha messo in guardia dai rischi di una crisi umanitaria.

 



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