Giulio Regeni. Da 4 anni senza verità

di redazione 26/01/2020 ESTERI
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E' la parola "verità" a illuminare la sera di Fiumicello in provincia di Udine.

E' composta da 4 mila piccole candele, appoggiate a terra, su un'aiuola, una accanto all'altra. Mille per ogni anno passato senza conoscere la verità su Giulio Regeni. Il 25 gennaio 2016 alle 19.41 il giovane ricercatore friulano inviò il suo ultimo messaggio dal Cairo. Poi scomparve. Di lui non si seppe più nulla fino al‪3 febbraio, quando il suo cadavere, torturato, fu trovato abbandonato su una strada tra la capitale e Alessandria d'Egitto. Un dramma su cui la famiglia esige verità e giustizia.

    Una "questione di Stato" per il presidente della Camera, Roberto Fico, stasera a Fiumicello, che invita le istituzioni a "essere un'unica voce" e auspica che il "2020 sia l'anno della verità". E il ministro degli esteri, Luigi Di Maio, in un post su Facebook, si dice convinto "che le parole non bastino più.
    Lavoriamo incessantemente per la verità. C'è tutto il mio impegno - assicura Di Maio - e quello del governo".
    "25 gennaio 2016 - 25 gennaio 2020...4 anni ... grazie di cuore a chi ci sta vicino...!!!!", ha scritto stamani la mamma di Giulio, Paola Deffendi, su Fb. E stasera, con il marito Claudio e la figlia Irene, partecipa alla fiaccolata a Fiumicello, paese natale del ricercatore, assieme alla "grande famiglia" che chiede passi avanti nell'inchiesta sull'omicidio.
    E' una comunità che si stringe nel silenzio e che ‪alle 19.41‬ alzerà le fiaccole al cielo, pensando a lui.

    In piazza, tra centinaia di persone, ci sono il presidente della Commissione d'inchiesta, Erasmo Palazzotto, e quello della Camera, Roberto Fico. "Sono qui perché lo Stato è giusto che ci sia - ha detto - il 2020 deve essere l'anno della verità, l'anno in cui si fanno passi avanti decisivi verso la verità. Le istituzioni devono coordinarsi ed essere un'unica voce per portare avanti quella che è una questione di Stato, che non sarà mai abbandonata, fin quando non otterremo i colpevoli dell' uccisione di Giulio Regeni". Fico ha anche partecipato al corteo. A ogni fermata i ragazzi, componenti del Governo dei Giovani (iniziativa di Cittadinanzattiva), hanno ricordato uno dei diritti dell' infanzia. Un filo diretto tra Fiumicello e oltre cento piazze italiane che stasera, da nord a sud, si sono tinte di giallo, colore di Amnesty International.

 

Sono passati quattro anni dalla scomparsa del ricercatore Giulio Regeni. È il 25 gennaio 2016 quando per l’ultima volta si hanno notizie del 28enne di Fiumicello, in provincia di Udine. Il giovane si trova a Il Cairo per effettuare delle ricerche in qualità di dottorando all’Università di Cambridge

    I Regeni chiedono "che questo governo richiami l'ambasciatore dal Cairo. E coinvolga l'Ue nel dichiarare l'Egitto un Paese non sicuro". Mentre la Procura di Roma continua a lavorare per far affiorare quanto accaduto in Egitto, in Parlamento è stata costituita una Commissione d'inchiesta sulla morte di Giulio: "Abbiamo portato alla luce elementi che fino ad ora non erano stati raccontati - ha spiegato stamani all'ANSA Sabrina De Carlo (M5S) - e a breve procederemo con altre audizioni". Chiedono passi avanti anche altre compagini. "Dopo tanti governi passati in 4 anni è vergognoso che ancora oggi non sia stata trovata la verità", dice Stefano Pedica (Pd). "Fare luce sulla tragedia subita da Giulio e sostenere i genitori vuol dire anche occuparci di nuove generazioni, dei diritti umani, di lavoro, studio e ricerca", osserva Pietro Grasso (Leu). Per Massimiliano Fedriga, presidente Fvg, "ricordare il quarto anniversario del rapimento e della barbara uccisione senza che sia stata fatta luce sui fatti e siano stati assicurati alla giustizia i colpevoli indigna e addolora".

La Procura di Roma continua a lavorare per far affiorare quanto accaduto in Egitto, in Parlamento è stata costituita una Commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio. “Oggi ringrazio chi ha voluto ricordarlo in molte piazze d’Italia, abbraccio la famiglia di Giulio e, consentitemelo, non voglio aggiungere molto altro - scrive su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio - perché credo che le parole non bastino più. Lavoriamo incessantemente per la verità. C’è tutto il mio impegno e quello del Governo”. 

Le INDAGINI

L’ultima rogatoria risale allo scorso maggio, quando gli investigatori italiani hanno acquisito testimonianza di un uomo che avrebbe ascoltato in Kenya un funzionario della Amn el-Dawla (l’agenzia di sicurezza nazionale che fa capo al Ministero dell’Interno) ammettere il pedinamento e il sequestro di Regeni perché sospettato di essere una spia. L’uomo è uno dei 5 iscritti nel registro degli indagati, 5 agenti dell’Ann el-Dawla individuati dalla procura di Roma che, in assenza di accordi di cooperazione giudiziaria in atto, non ha nessun ulteriore valido strumento di pressione. La scorsa settimana il nuovo procuratore generale della Repubblica d’Egitto Hamada al-Sawy ha battezzato una nuova squadra di investigatori locali sul caso, ma l’incontro che si è svolto tra il team e i membri dello Sco e dei Ros è stato l’ennesimo buco nell’acqua. 

L’impunibilità delle forze dell’ordine in Egitto è cosa nota così come lo è la tortura nelle carceri e nelle stazioni di polizia. Già durante il regime di Hosni Mubarak, il dittatore deposto dalla rivoluzione di Piazza Tahrir nel 2011, diverse organizzazioni internazionali tra cui Human Rights Watch avevano definito “endemico” il ricorso alla tortura da parte delle forze di sicurezza egiziane. Un elemento che ricorre anche nel caso di Giulio Regeni.

I depistaggi effettuati all’inizio delle indagini, la fantomatica pista gay o quella della banda di rapitori di stranieri, sono stati ripercorsi anche nella recente audizione della commissione parlamentare italiana che in realtà ha svelato uno dei punti chiave della non collaborazione dell’Egitto nella ricerca dei colpevoli: il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo deciso, come hanno ricordato i genitori di Giulio, nell’agosto del 2017.

Appena sedici mesi prima, infatti, l’allora ambasciatore italiano Maurizio Massari era stato ritirato dopo l’ennesimo depistaggio da parte delle autorità egiziane. Tra l’aprile del 2016 e l’agosto del 2017, dal punto di vista delle indagini non è cambiato nulla ma la decisione venne giustificata con l’intento di monitorare da più vicino il lavoro degli inquirenti egiziani e la collaborazione con la Procura di Roma.


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