American Sniper. L'occhio, il nemico e la paura. La guerra secondo Clint Eastwood

di Emiliano Baglio 16/01/2015 ARTE E SPETTACOLO
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Ci sono le pecore, ovvero la maggior parte di noi, esseri indifesi e deboli; ci sono i lupi, pronti a sbranarci e poi ci sono i cani pastore nati per difendere il gregge dai predatori. C’è il bene, incarnato dal cecchino Chris Kyle (Bradley Cooper) ed il male rappresentato dai terroristi islamici.

Apparentemente, mai come in American Sniper la visione di Clint Eastwood è apparsa tanto schematica e manichea. Poi uno ci pensa un attimo e si rende conto che in fondo è sempre stato così, il grande regista ed attore americano ha sempre nascosto la complessità del suo pensiero dietro un’apparente semplicità in cui il mondo appare rigidamente diviso in due; il bianco ed il nero; il giusto e lo sbagliato. Tuttavia stavolta, forse a causa del patriottico sventolio di bandiere americane, almeno in Italia si è aperta una ridicola ed anacronistica discussione combattuta a suon di recensioni, sul presunto fascismo di Eastwood.

La qualità del film è così caduta in secondo piano, quando non è stata completamente dimenticata. Allora sarà bene dirlo chiaro e forte, American Sniper è insieme a The hurt locker di Kathryn Bigelow, il più bel film di guerra degli ultimi anni. Si inscrive in quel filone di pellicole che dipingono l’orrore dei conflitti che hanno come parenti titoli quali Apocalypse now (Coppola) o Il cacciatore (Cimino) e forse il suo padre nobile è Full metal Jacket di Stanley Kucrick.

American Sniper ha il respiro lento e controllato di un cecchino appostato su di un tetto, ha il taglio solido e classico che solo un uomo che mastica cinema da sempre come Eastwood può avere. Non cede alla macchina da presa a mano, tutto è sempre chiaro e leggibile, persino quando i nostri eroi fuggono in una tempesta di sabbia si capisce sempre quello che sta succedendo, si sa la posizione di ogni singolo personaggio in ogni momento, il senso spaziale di questo film è semplicemente sorprendente. American sniper ha un montaggio praticamente perfetto ed un sonoro che sprofondano lo spettatore dentro la guerra come se fossimo fisicamente lì.

Al regista basta inquadrare la moglie di Kyle incinta (Sienne Miller) mentre è al telefono con il marito vittima di un agguato per restituirci il suo doloroso senso d’impotenza. Gli è sufficiente farci vedere Bradley Cooper seduto sulla sua poltrona davanti ad un televisore spento mentre nella sua testa riecheggiano i rumori terribili del fronte per farci capire che il nostro cecchino a casa in realtà non ci è mai tornato ed è ancora lì nel deserto iracheno.

Eastwood è capace di riprendere un semplice barbecue con gli occhi di Kyle trasformando una scena di quiete familiare in un teatro di guerra.

E quando si tratta di affondare la lama nella carne viva delle atrocità di ogni conflitto non lo fa solo con la disperata lettera letta dalla madre di un uomo morto al fronte, non si affida solo all’incontro tra due fratelli di cui uno schifato da quello che sta vivendo. No, fa parlare le immagini e fa prendere in mano ad un ragazzino un lanciarazzi mentre sul tetto il nostro eroe finalmente mostra i primi segni di cedimento dinnanzi all’ipotesi dell’ennesima uccisione di un bambino.

Clint Eastwood sembra ricordarci che al mondo il male esiste, ed ha le sembianze di chi ammazza 141 bambini in Pakistan, rapisce 200 donne in Nigeria per renderle schiave o irrompe in un giornale satirico per fare una strage. Questi orrori vengono combattuti con altre atrocità. Certo ci sono le pecore, i lupi ed i cani pastore; ma i soldati anche quando combattono per la parte giusta non sono così dissimili dal loro nemico. In fondo Kyle ed il cecchino iracheno col quale si sfida sono solo due facce della stessa medaglia, probabilmente schiavi di un deliro di onnipotenza. Il mondo descritto dal regista americano è ancora una volta un brutto posto dove la guerra ha l’odore della pozza di urina di un uomo costretto a stare sdraiato per ore prima di ammazzare bambini mandati a morire come carne da macello. È un luogo dove i terroristi trapanano la testa di innocenti, dove chi parte per il fronte non tornerà mai intatto a casa e nella migliore delle ipotesi porterà per sempre quelle ferite nella sua mente. E forse anche quella guerra che per Eastwood sembrerebbe essere giusta non ha alcun senso quando tua moglie ti ricorda che lei, i tuoi figli, la tua famiglia non sono in un fottuto deserto dall’altra parte del globo ma sono lì ad aspettarti, fragili, indifesi e soli. E alla fine si rischia pure di finire ammazzati proprio fuori di casa dal fuoco amico. Ed anche in questo caso Eastwood ci ricorda quanto possa essere potente il cinema e che il primo piano sul volto di Siena Miller mentre chiude la porta di casa può tranquillamente diventare il presagio dell’assurdo orrore che la sta per colpire.

Vengono in mente le parole di Love and war di Neil Young che canta, con disarmante semplicità, le stesse cose che racconta American Sniper, per chiunque abbia la voglia ed il coraggio di guardare oltre la superficie di un presupposto nazionalismo reazionario e scendere all’inferno insieme a Clint Eastwood.

“I’ve Seen a lot of young men go to war/And leave a lot of young brides waiting/I've watched them try to explain it to their kids/And I've seen a lot of them failing/They try to tell them and they try to explain/Why daddy won't ever come home again/Daddy won't ever come home/Daddy won't ever come home”.

(Ho visto molti giovani partire per la guerra/E lasciare tante giovani spose ad aspettare/Le ho viste cercare di spiegarlo ai loro bambini/E ho visto molte di loro non riuscirci/Cercano di dire e spiegar loro/Perché papà non tornerà più a casa/Papà non tornerà più a casa/Papà non tornerà più a casa).



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