Femminicidi. Donne vittime soprattutto in ambito familiare o affettivo. Una guerra che insanguina l'Italia

di redazione 01/06/2023 CULTURA E SOCIETÀ
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Dal l'1 gennaio al 28 maggio 2023 in Italia sono stati commessi 129 omicidi, con 45 vittime donne, di cui 37 uccise in ambito familiare o affettivo; di queste, 22 hanno trovato la morte per mano del partner o dell'ex partner. È quanto emerge dall'ultimo report sugli omicidi volontari curato dal Servizio analisi della Direzione centrale della polizia criminale.

Analizzando gli omicidi del periodo in questione rispetto a quello analogo dell'anno scorso, il report evidenzia un aumento del numero degli omicidi che da 123 passano a 129 (+5%), mentre il numero delle vittime di genere femminile mostra un decremento del 10% degli episodi, che da 50 passano a 45.

Per quanto riguarda i delitti commessi in ambito familiare/affettivo, si registra un decremento sia nell'andamento generale degli eventi, che passano da 59 a 58 (-2%), sia nel numero delle vittime donne, che da 44 diventano 37 (-16%).

In lieve calo, rispetto allo stesso periodo del 2022, anche gli omicidi commessi dal partner o ex partner, che da 25 scendono a 24 (-4%) e le vittime donne, che da 25 passano a 22 (-12%). Nel periodo 22-28 maggio 2023 risultano essere stati commessi 4 omicidi, con una vittima di genere femminile. 

’omicidio di Giulia Tramontano per mano del compagno non fa che allungare il triste elenco dei femminicidi, che in Italia, dall’inizio del 2023, sono già a decine. Si tratta di mogli, conviventi, fidanzate, donne, tutte uccise per mano di mariti, compagni, fidanzati, uomini possessivi e violenti, incapaci di accettare la fine delle loro relazioni e per questo pronti a tutto. Da Giulia Donato alla 29enne di Senago trovata morta nelle scorse ore, ecco i nomi e le storie di alcune delle vittime di quest’anno.

A decine i femminicidi in Italia dall’inizio del 2023: il lungo e triste elenco delle vittime

 

È da poco passato il Capodanno quando nel quartiere Pontedecimo di Genova l’omicidio di Giulia Donato apre la scia dei femminicidi dell’anno. La giovane, poco più che ventenne, viene uccisa dal compagno che avrebbe voluto lasciare, una guardia giurata, con la sua pistola d’ordinanza. A trovare il suo corpo, all’interno dell’abitazione in cui i due convivevano, sono le forze dell’ordine, allertate dalla sorella, che ne aveva denunciato la scomparsa. Accanto al suo cadavere c’è quello del suo assassino, morto suicida dopo il delitto.

 

A febbraio il bilancio sale ulteriormente. Il 1 del mese viene trovata morta, dopo essere stata data per scomparsa, la 23enne Yana Malayko. È stata uccisa dal fidanzato. Il 6 a Lecco l’86enne Antonia Vacchelli viene ammazzata dal marito, che la strangola a mani nude. Davanti agli inquirenti dirà che si è trattato di “un gesto d’amore”. Lo fanno in tanti. L’11 febbraio a Catania muoiono in due, Melina Marino, 48 anni e l’amica Santa Castorina, 50 anni, entrambe per mano del compagno della prima, non disposto ad accettare che la donna volesse lasciarlo, né che lo avesse raccontato all’altra. Si suiciderà davanti alla caserma dove si era recato per costituirsi.

Sigrid Gröber, 39 anni; Giuseppina Traini, 85 anni; Costantina dell’Albani, 52 anni; Iulia Astafieya, 35 anni; Maria Febronia Buttò, 61 anni; Francesca Giornelli, 57 anni; Zenepe Uruci, 56 anni; Sara Ruschi e Brunetta Ridolfi, 35 e 76 anni; Safayou Sow, 27 anni; Giulia Tramontano, 29 anni. Sono solo alcune delle donne morte dall’inizio del 2023 per mano degli uomini che amavano o che, un tempo, avevano amato. Uomini gelosi fino all’ossessione, narcisisti, violenti, uomini bugiardi. Uomini disposti a tutto, pur di non sopportare la fine di una relazione, di una storia, di un matrimonio.

Disposti addirittura ad uccidere, non una, ma due vite, nel caso di Giulia Tramontano, incinta al settimo mese. Del delitto è accusato il 30enne reo confesso Alessandro Impagnatiello, che nelle scorse ore, davanti agli inquirenti, ha ammesso di aver ucciso la 29enne a coltellate al culmine di una lite, provando poi a bruciarne il corpo. Era stato lui a denunciarne la sparizione, domenica scorsa; è stato lui, ora, a permettere il ritrovamento del cadavere, nascosto a poche centinaia di metri dall’abitazione che per anni avevano condiviso e in cui alla fine, dopo la scoperta di un tradimento, avrebbe messo fine alla sua vita in un modo violento e senza senso.

Ogni volta accade la stessa scena: davanti a un fatto orrrendo proviamo grande pietà per le vittime e rabbia verso gli assassini. Li chiamiamo mostri, scriviamo i loro nomi e cognomi sui social e spesso chiediamo per loro non solo il carcere o l'ergastolo ma la pena di morte. Ci auguriamo che muoiano con le peggiori sofferenze, senza dovere aspettare il processo e la sentenza. È un atteggiamento comprensibile ma che dimostra anche quanto davanti a certi orrori ci sentiamo impotenti. Siamo impotenti. E non potendo fare altro non ci resta che urlare, sfogarci, odiare. E più urliamo e odiamo e più - se lo facciamo sui social - otteniamo like. In qualche modo è come se venissimo premiati per il nostro coraggio digitale.

Meglio ribadirlo: è un atteggiamento comprensibile. Sia quello di chi si sfoga sia di chi mette like. Tanto più che il bisogno di vendetta, la cosiddetta legge del taglione e la voglia di giustizia sommaria non sono certo nate oggi nel cuore degli uomini. Ciò che è cambiato con i social sono due cose. La prima è che chiunque può esprimersi raggiungendo anche platee importanti. La seconda è che tutti in tempo reale possiamo discutere di ciò che accade. Due cose importanti e sacrosante. Che fanno parte della democrazia. Ma che ne hanno generato una terza (con la complicità della TV): più noi ne discutiamo online e più, ogni volta che accade un delitto così atroce, si moltiplicano articoli e programmi che ne parlano, col risultato di far crescere esponenzialmente la nostra indignazione. La quale da giusta e comprensibile spesso si trasforma solo in uno tsunami di odio che esplode e termina nel giro di poche ore.

Così, davanti a simili orrori, invece che impegnarci a diventare persone migliori e ad aiutare gli altri a esserlo (a partire dai più giovani), veniamo travolti dalla rabbia, dal disagio, dalla paura e dalla delusione per il prossimo. Finiamo senza accorgercene in una sorta di buio, dove il mondo ci sembra popolato solo da mostri. Ovviamente nella realtà ce ne sono. Sarebbe una follia negarlo. Ma pensarli come fossero una maggioranza che può e deve essere sconfitta solo con la violenza non è solo un errore statistico. È un tarlo che, alla lunga, distrugge la fiducia negli altri. Dobbiamo combatterlo. Per noi. Ma innanzitutto per le vittime come Giulia e Thiago.



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