Babylon

Un ottovolante scatenato, finché si sta a bordo ci si diverte. Finita la corsa cominciano i guai.

di EMILIANO BAGLIO 01/02/2023 ARTE E SPETTACOLO
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Babylon

Finché si viaggia sullo scatenato ottovolante messo in piedi da Damien Chazelle con Babylon bisogna ammettere che ci si diverte assai.

Il problema è quando finisce questa corsa sfrenata di oltre tre ore in cui non ci si ferma mai ed il ritmo folle della pellicola è sottolineato da un’altrettanto frenetica colonna sonora che non sta zitta un attimo e che aggiunge ritmo al ritmo.
Ci si accorge infatti che delle vicende narrate è rimasto poco o nulla e che stanno già venendo a galla tutti i problemi, e non sono pochi, del film.

Prendiamo i personaggi ad esempio.

Sono spesso raccontati con una superficialità irritante con vicende appena accennate, salti improvvisi ed una concatenazione degli eventi piena di buchi.

Prendiamo la vicenda di Sidney Palmer (Jovan Adepo), il trombettista che, con l’avvento del sonoro improvvisamente diviene una star.

Nel film lo vediamo solo nei momenti in cui suona alle varie feste che costellano la pellicola; in un paio di scene in cui è vittima degli scherzi degli altri componenti della band e poi improvvisamente viene chiamato a suonare in un film ed in pochi minuti di film diventa una star.

Il resto dei suoi compagni di avventura scompare tranquillamente nel nulla e la sua ascesa si risolve anch’essa in un paio di scene che culminano in un party di ricconi nel quale, con un paio di battute, scopre la falsità ed il razzismo che lo circondano con il risultato che, all’ennesima umiliazione se ne torna alla sua vita precedente e fine della storia.

E con questo probabilmente Chazelle pensa di aver risolto la questione del razzismo imperante nel sistema Hollywoodiano dell’epoca (e magari anche di oggi aggiungiamo noi).

Il film è pieno di personaggi così, risolti con poche battute, tratteggiati alla bella e meglio, buttati nella mischia per fare numero e le cui storie non vengono mai approfondite e che scompaiono nel nulla senza troppi complimenti.

È il caso di Ruth Adler (Olivia Hamilton), la regista che per prima scopre il talento di Nellie LeRoy (Margot Robbie), dell’ambigua cantante cinese Fay Zhu (Li Jun Li), della giornalista mondana/critica cinematografica Elinor St. John (Jean Smart), di George (Lukas Haas) , miglior amico di Jack Conrad (Brad Pitt) che addirittura muore fuori scena o dello straordinario Tobey Maguire nei panni di un viscido spacciatore che evidentemente, in quanto produttore, si è cucito addosso questo piccolo ruolo nel quale risplendere.

Dinanzi a tanta superficialità si ha l’impressione che Chazelle, una volta premuto il piede sull’acceleratore sin dall’incredibile sequenza di apertura del film, non sia stato più in grado di governare il suo film e che ad un certo punto abbia deciso che l’unica cosa che contava fosse andare avanti a tutta velocità in un viaggio ipertrofico in cui ogni singola inquadratura fosse il più piena possibile.

Di dettagli, di musica, di personaggi, di cose che accadevano sullo schermo in contemporanea in un’orgia visiva sfrenata che rapisce e stordisce ma che, come detto, una volta finita, pone non pochi dubbi.

Per esempio, qual è la vera anima di Babylon?

Cosa voleva raccontare il regista?

Il passaggio di Hollywood dall’epoca del muto a quella del sonoro?

Oppure come la grande macchina dei sogni finisca per triturare tutti?

In fondo gli eroi di questa vicenda sono tutti perdenti.
A partire da Nellie che avrà un breve momento di fama prima che la sua “esuberanza” si scontri con il moralismo del codice Hays, passando per Jack Conrad sintesi perfetta di tutti gli attori che con l’arrivo del sonoro vedranno distrutta la loro carriera.

Si salveranno solo Manny (Diego Calva), che da semplice tuttofare riuscirà a scalare Hollywood e a fuggire giusto in tempo ed appunto Sidney mentre “the show must go on”.

Lasciamo poi perdere alcune scelte registiche il cui esempio più perfetto, a nostro avviso, è rappresentato da quella porta lasciata socchiusa mentre Jack Conrad compie quel gesto; dopo un intero film in cui i protagonisti scompaiono nel nulla con la più totale noncuranza, nel momento in cui chiunque avrebbe giocato con il fuori campo, Chazelle mostra tutto, probabilmente incapace oramai di fermarsi a riflettere.

Probabilmente, alla fine, il senso è nelle parole che pronuncia Manny quando davanti alle immagini di Cantando sotto la pioggia si ricorda di quando lui voleva far parte di qualcosa di grande, il cinema appunto.

Altro che omaggio alla settima arte e alla sala cinematografica, alla fine l’impressione è che Babylon sia il giocattolo di un bambino viziato che ce l’ha fatta ed ha realizzato il suo sogno di diventare regista.

Segue qualche minuto di fotogrammi presi dalla storia del cinema e montati a caso senza logica intervallati da brevi momenti in cui lo schermo diventa monocromatico che, nella mente del regista temiamo debba essere l’equivalente del cinema sperimentale e d’avanguardia.

EMILIANO BAGLIO


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