25 Novembre. Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. In Italia è sempre più emergenza

Dal 1 gennaio al 20 novembre 2022 sono stati registrati 273 omicidi, con 104 vittime donne, di cui 88 uccise in ambito familiare o affettivo

di redazione 25/11/2022 CULTURA E SOCIETÀ
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I numeri parlano chiaro delineando un'emergenza femminicidi. Dal 1°gennaio al 20 novembre 2022 sono stati registrati 273 omicidi con 104 vittime donne, di cui 88 uccise in ambito familiare o affettivo. Di loro, 52 sono state uccise dal partner o dall'ex. A donne uccise corrispondono molto spesso bambini rimasti orfani.

Nell’inchiesta la Commissione parlamentare guidata dalla senatrice Valente ha eseguito 200 audizioni, sfogliato 2 mila fascicoli processuali.

Il tema che emerge ancora preponderante è la difficoltà delle donne a denunciare la violenza che, nella maggioranza dei casi, è presente da anni. Il 63% delle donne uccise non aveva parlato con nessuno. Solo il 15% di loro aveva denunciato.

“Nel mondo sono troppe le relazioni asimmetriche tra uomo e donna”, rimarca la senatrice Valente nel suo intervento introduttivo. “Si tratta di relazioni poco sane in cui gli uomini faticano a rispettare la compagna, ma hanno bisogno di esercitare una cultura di prevaricazione e dominio sulla donna”.

“In Italia - continua Valente - abbiamo ottenuto risultati importanti, c’è stato un salto di qualità, prima con il riconoscimento del reato di stalking, poi con la convenzione di Istanbul. Abbiamo reso reato la violenza e inasprito le pene. Ma c’è da lavorare molto di più. Bisogna cambiare prospettiva. Non dobbiamo parlare più di donne vittime. Le donne sono forti, sono alcuni uomini che tentano di renderle vulnerabili. Cambiamo racconto dobbiamo chiedere assunzione di responsabilità agli uomini”, prosegue ancora.

“Il tema è riconoscere la violenza, ci vuole specializzazione. Bisogna formare gli operatori a riconoscerla, preparare i giudici, gli operatori sociali, parlarne nelle scuole e nelle università. Le leggi ci sono, ne abbiamo fatte tante, ma prima c’è il pregiudizio da abbattere, gli stereotipi che ancora relegano la donna a un certo ruolo. Questo è il tema che facciamo fatica ad aggredire”.

 La violenza e le conseguenze sul nucleo familiare

“Il femminicidio è un fenomeno strutturale - evidenzia Linda Laura Sabbadini, statistica e consulente dell’inchiesta parlamentare - ed è solo la punta dell’iceberg di tutta la violenza esercitata sulle donne. Nell’84% dei casi avviene all’interno della stessa comunità. Spesso l’autore del femminicidio si suicida subito dopo ed è un dramma per i bambini. In due anni gli orfani di femminicidio sono stati 169”.

“Un altro segnale che non va - sottolinea ancora Sabbadini - è che nell’80% delle denunce le donne avevano dichiarato di temere per la loro vita e per quella dei figli. Poi ci sono i tempi della giustizia: dalla denuncia all’uccisione passano di media 2 anni e 4 mesi, tempo in cui si può e si deve intervenire. Il problema è che la donna fatica a essere creduta. Questo anche perché negli organi giudiziari, così come negli operatori sociali, la formazione su questo tema è insufficiente. Preoccupa che, in sede di valutazione del condannato, non venga accertato il suo rapporto con la vittima. Quasi mai vengono chieste informazioni sulle persone offese”.

Sabbadini rimarca poi un problema di impunità generale e una difficoltà della donna a essere creduta nelle sedi giudiziarie, soprattutto nei casi di separazioni violente: “Non si parla mai di violenza, ma di conflitto e spesso i tribunali preferiscono delegare a CTU (Consulenti tecnici) o ai servizi sociali l’accertamento della situazione anche quella dei figli minori, le altre vittime. È come un processo di rimozione della violenza che si attiva sin dall’inizio e prosegue in tutti i passaggi. Abbiamo bisogno di una grande rivoluzione culturale ma soprattutto bisogna capire che le donne devono essere credute”.

"Porre fine alla violenza contro le donne, riconoscerne la capacità di autodeterminazione sono questioni che interpellano la libertà di tutti".

Così Sergio Mattarella in occasione della Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Denunciare "è un atto che richiede coraggio. Un'azione efficace per sradicare la violenza contro le donne deve basarsi sulla diffusione della prevenzione delle cause strutturali del fenomeno e su una cultura del rispetto che investa sulle generazioni più giovani, attraverso l'educazione all'eguaglianza, al rispetto reciproco, al rifiuto di ogni forma di sopraffazione".

La violenza contro le donne è una aperta violazione dei diritti umani, purtroppo diffusa senza distinzioni geografiche, generazionali, sociali", si continua a leggere nel messaggio del Presidente della Repubblica. 

"Negli ultimi decenni sono stati compiuti sforzi significativi per riconoscerla, eliminarla e prevenirla in tutte le sue forme - prosegue Mattarella - tuttavia, per troppe donne, il diritto ad una vita libera dalla violenza non è ancora una realtà. Le cronache quotidiane ne danno triste testimonianza e ci ricordano che ci sono Paesi dove anche chi denuncia e si oppone alle violenze è oggetto di gravi ed estese forme di repressione. Sono narrazioni dolorosissime, sino alle aberrazioni in quei territori che vivono situazioni di guerra ove le donne diventano ancora più vulnerabili e sono minacciate da violenze che possono sfociare nella tratta di esseri umani o in altre gravi forme di sfruttamento. Porre fine alla violenza contro le donne, riconoscerne la capacità di autodeterminazione sono questioni che interpellano la libertà di tutti". 

APPROFONDIMENTI

Il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, non è una data scelta a caso. E’ il ricordo di un brutale assassinio, avvenuto nel 1960 nella Repubblica Dominicana, ai tempi del dittatore Trujillo. Tre sorelle, di cognome Mirabal, considerate rivoluzionarie, furono torturate, massacrate, strangolate. Buttando i loro corpi in un burrone venne simulato un incidente. Non sempre, non ovunque, le cose sono cambiate da quel giorno: basti pensare alle bambine dell’India che quasi ogni giorno vengono stuprate e uccise, ma anche a casa nostra, dove la violenza contro le donne è spesso nascosta in ambito domestico.

 La Giornata è stata istituita dall’Onu con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999. La matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata ancor oggi nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne. E la stessa Dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale Onu parla di violenza contro le donne come di “uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”.

La violenza di genere è una realtà amara che dobbiamo affrontare anche noi abitanti del cosiddetto primo mondo. Il più delle volte si svolge nel chiuso delle mura domestiche, lontano da occhi indiscreti, e spesso arriva all’attenzione del pubblico quando è ormai troppo tardi. Così, i riflettori si accendono all’improvviso su storie di donne che per anni hanno affrontato minacce e violenze senza disporre di mezzi sufficienti per liberarsi definitivamente dai loro persecutori.

 

La ricorrenza del 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, è un appuntamento importante per riflettere e fare il punto sui progressi compiuti in questa battaglia. Il tema può e deve essere affrontato su più livelli per trovare soluzioni efficaci. Ciò implica considerare tutti gli aspetti che contribuiscono ad alimentare un fenomeno pericolosamente diffuso: nel mondo la violenza contro le donne interessa una donna su tre, mentre in Italia i dati Istat ci dicono che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi sono esercitate proprio da partner o ex partner, parenti e amici. 

La rete a difesa delle donne è molto articolata e si rafforza col passare degli anni. Il mondo dell’associazionismo si è mobilitato da tempo: esistono oggi realtà meritevoli come D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza, formata da 82 organizzazioni distribuite sul territorio italiano che gestiscono oltre 100 Centri antiviolenza e più di 50 Case rifugio, ascoltando ogni anno circa 21mila donne. Sono risultati tangibili che negli hanno spinto anche la politica ad attivarsi per combattere la piaga della violenza di genere.

Il dibattito pubblico su questo tema ha raggiunto un certo livello di maturità, ma c’è una tessera di questo puzzle che resta ancora in secondo piano: il legame tra condizione lavorativa delle donne e violenza. Secondo l’Istat, circa il 60% delle donne impegnate in un percorso di fuoriuscita dalla violenza nel corso del 2020 non era occupato stabilmente e versava quindi in una condizione economica non autonoma. In numeri assoluti, nello stesso anno erano circa 21 mila le donne che avrebbero avuto bisogno di un supporto per raggiungere l’indipendenza economica. Per sei donne su dieci colpite dalla violenza, il lavoro è quindi un fattore di dipendenza e di debolezza e rende irto di ostacoli il percorso che conduce alla piena emancipazione.

In quest’ottica, assumono un’importanza fondamentale le politiche di welfare rivolte alle donne lavoratrici mirate a promuovere l’occupazione al femminile e a proteggerla con ancor più forza quando una donna decide di diventare madre. È soprattutto in questo momento che il sostegno di istituzioni, società e datori di lavoro deve farsi concreto. Offrire tutele reali, in altre parole, significa contribuire non solo alla pari dignità delle lavoratrici, ma dotarle anche di strumenti per difendersi dalla violenza.

Per far propria una nuova visione del lavoro femminile, tuttavia, non è sufficiente rispettare un serie di adempimenti formali. È indispensabile andare più a fondo e trasformare lo human value nella bussola quotidiana delle proprie scelte. Per un imprenditore ciò significa remare a volte controcorrente e premiare elementi che sono comunemente considerati penalizzanti, come essere donna e madre. Di una cosa però si può esser certi: tenere duro contro pregiudizi radicati ripaga sia l’impresa che le lavoratrici. È ormai provato che quando sono valorizzate le donne riescono a esprimere il meglio di sé, conciliando i risultati ottenuti sul lavoro con la loro vita privata. Per questo la Giornata del 25 novembre chiama in causa anche noi imprenditori e tutto il mondo del lavoro per sfatare credenze dure a morire.



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