Bentu

Un piccolo saggio sull'attesa

di EMILIANO BAGLIO 28/09/2022 ARTE E SPETTACOLO
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Bentu, come ha spiegato lo stesso Salvatore Mereu nasce come saggio di fine anno del corso di cinema tenuto dallo stesso regista all’Università di Cagliari.

Il budget quasi inesistente e la stessa natura originaria del progetto hanno inevitabilmente condizionato alcune delle scelte operate, a partire dal “tradimento” del finale del romanzo di Antonio Cossu da cui è tratto il film.

Tuttavia si fatica ad immaginare un trattamento ed un risultato diverso.

Anche la scelta di portare Bentu a confrontarsi nelle sale cinematografiche con il pubblico, dopo l’invito alle Giornate degli autori dell’ultima Mostra del cinema di Venezia, appare come inevitabile e perfettamente coerente con lo spirito dell’opera stessa.

Ancora una volta è lo stesso Mereu a rivendicare nella sala cinematografica lo spazio naturale di un’opera che sfugge alle stesse regole degli algoritmi che condizionano le visioni e le scelte operate dalle piattaforme.

Bentu si pone all’opposto rispetto a queste, insomma, come dice non senza autoironia lo stesso autore, nei primi quindici minuti del film non succede nulla.

O almeno così potrebbe sembrare ad un occhio superficiale.

Questo perché Bentu è anche un saggio sull’attesa.

Al centro della vicenda Raffaele (Peppeddu Cuccu già in Banditi a Orgosolo) un anziano contadino che attende, in solitudine in un casolare privo persino di elettricità, l’arrivo del vento del titolo per poter separare i chicchi di grano dalle spighe.

Ogni tanto la sua solitudine è rotta dalle visite del nipote Angelino (Giovanni Porcu) che lo aiuta, gli fa compagnia, rappresenta l’unico legame con il resto del mondo e la moglie e soprattutto è impaziente di poter cavalcare la cavalla di Raffaele.

Non c’è praticamente altro nel film di Mereu se non questi due personaggi e la campagna sarda.

A dominare sono il giallo del grano ed il blu del cielo in una ricerca estetica e cromatica che ha portato la troupe ad esplorare la campagna alla ricerca di luoghi che avessero la luce giusta per questo film letteralmente accecante dove si sente, ad ogni immagine, il caldo ed il sudore, la terra arsa e l’odore della notte, la povertà di un casolare di mattoni ed i gesti antichi di un semplice piatto di spaghetti in bianco cotti sul fuoco o di pane e ricotta fresca.

Bentu è un film aspro come gli scenari nei quali è ambientato.

Un film essenziale in ogni suo elemento che dimostra, ancora una volta, che le ristrettezze economiche, in mano a chi di cinema ne sa, possono diventare scelte estetiche.

A confrontarsi sullo schermo sono non solo due diverse età della vita ma anche due diverse concezioni del mondo.

Da una parte la sapienza antica di gesti millenari, un ostinato rifiuto di quella aberrante modernità rappresentata dalla mostruosa trebbiatrice che ad un certo punto fa la sua comparsa pronta a divorare il terreno e a violentare la natura.

Dall’altra un bambino che vorrebbe tutto e subito con la sua impazienza e la sua voglia di divorare il mondo.

Come già in Assandira (http://www.euroroma.net/9345/ARTE%20E%20SPETTACOLO/assandira-un-film-profondamente-radicato-nella-tradizione-culturale-sarda-capace-di-aprirsi-ad-uno-sguardo-universale.html) Mereu torna ad interrogarsi sullo scontro tra tradizione e modernità e nuovamente, partendo dal suo profondo radicamento con la sua Sardegna, con pochissimi mezzi ma con un’idea chiara di cinema, riesce ad allargare lo sguardo con un film che riflette sulle grandi questioni del nostro presente; dal nostro rapporto con la natura all’importanza del saper tramandare le tradizioni.

Saper attendere, questo ci insegna Mereu; che sia l’arrivo del vento o il momento giusto in cui salire in sella ad una cavalla altrimenti sarà la natura stessa a chiederci il conto.

EMILIANO BAGLIO


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