Deforestazione. Il 2020 anno dal triste record. Scomparsa una superficie boschiva grande come i Paesi Bassi

di redazione 04/04/2021 AMBIENTE
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Nel 2020 si è registrato un record negativo per la deforestazione mondiale in tutto il mondo, con 4,2 milioni di ettari di copertura arborea persi nelle principali regioni tropicali del pianeta.

Come è stato rivelato da un monitoraggio condotto dall’Università del Maryland e dalla piattaforma Global Forest Watch, si tratta di un aumento del 12% di alberi abbattuti rispetto al 2019 e del terzo peggior risultato osservato dal 2002, con un tasso al di sopra della media degli ultimi 20 anni.

Inoltre, come è stato riportato dal World Resources Institute, la perdita di queste zone verdi, fondamentali sia per quanto riguardo l’equilibrio del clima globale che per l’ecosistema, è equivalente all’emissione annuale di anidride carbonica di oltre 575 milioni di automobili.

A pagare le conseguenze di questa escalation sono state soprattutto le foreste pluviali tropicali dell’Amazzonia, del bacino del fiume Congo e del Sud-est asiatico, vitali per la loro capacità di assorbire anidride carbonica e, di conseguenza, per la regolazione del clima a livello globale. Secondo il World Resources Institute, solo in queste aree le perdite di foresta ammontano a 4,2 milioni di ettari, equivalenti alle emissioni annuali di anidride carbonica di oltre 575 milioni di automobili. Complessivamente, sono andati persi 12,2 milioni di ettari di copertura arborea, con un aumento del 12% rispetto al 2019.

La maglia nera spetta al Brasile con 1,7 milioni di ettari distrutti e un aumento di circa un quarto rispetto al 2019. Preoccupa non solo quanto sta accadendo in Amazzonia ma anche nel Pantanal brasiliano, la più grande zona umida tropicale del mondo, circa un terzo della quale è stata colpita da incendi con effetti devastanti sulla biodiversità. Incendi causati in larga parte per estendere il raggio delle attività agricole, ma anche da una siccità record con livelli che non si registravano da oltre 40 anni.

Migliora invece la situazione in Indonesia, che per la prima volta abbandona il podio dei Paesi con gli indici di deforestazione più alti. Qui la perdita di alberi nel 2020 è diminuita per il quarto anno consecutivo, in calo rispetto al picco del 2016. Anche la Malesia, che dagli anni Settanta ha perso circa un terzo delle proprie foreste, si sta gradualmente riprendendo grazie soprattutto all’introduzione di leggi più severe contro il disboscamento illegale.

Dallo studio emerge inoltre chiaramente che anche nei Paesi più ricchi le foreste sono sempre più a rischio. In Germania la perdita di copertura arborea è triplicata tra il 2018 e il 2020 per via delle ripetute invasioni dei coleotteri da corteccia. Mentre in Australia l’aumento è stato addirittura di nove volte superiore, in gran parte a causa delle condizioni meteorologiche estreme e dei grandi incendi boschivi.

Ogni consumatore dei paesi ricchi è responsabile, annualmente, dell’abbattimento di ben quattro alberi all’altro capo del globo (circa 58 metri quadrati di foresta). Le conseguenze del commercio internazionale iniziano a farsi sentire. Le foreste coprono circa un terzo della superficie terrestre e rappresentano gli ecosistemi più complessi e ricchi in biodiversità: ospitano fra il 50 e il 90% di tutte le specie animali e vegetali esistenti sul pianeta. Già da alcuni anni i ricercatori puntano i riflettori sul declino di questi ecosistemi, mostrando quanto la deforestazione sia una delle più importanti sfide ambientali del nostro tempo: contribuisce purtroppo alle emissioni di gas serra, alla perdita di biodiversità, ai cambiamenti nel ciclo dell’acqua.

Secondo questo nuovo studio, pubblicato su Nature, tuttavia, ognuno di noi ha la propria parte di responsabilità per la morte delle foreste: sono le nostre abitudini, specie quelle che adottiamo da consumatori, a causare la deforestazione. I due ricercatori hanno calcolato la cosiddetta “impronta di deforestazione” delle diverse nazioni, sommando la quantità di alberi abbattuti all’interno del territorio nazionale alla deforestazione nei paesi tropicali provocata dal consumo di prodotti realizzati in quei territori. È la prima volta che uno studio occidentale collega l’andamento della deforestazione globale ai beni importati da ogni paese. Lo studio he messo in evidenza che i maggiori partner commerciali implicati nella “impronta di deforestazione” sono paesi tropicali come Brasile, Madagascar, Argentina, Indonesia, Amazzonia – cuori pulsanti della biodiversità. Questi paesi esportano ai paesi membri del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti) e alla Cina merci che mettono a repentaglio la salute delle foreste – come bovini, soia, caffè, cacao, olio di palma.

Inoltre l’Organizzazione mondiale della sanità, nel suo rapporto ufficiale sulle origini della SARS-CoV-2, pur lasciando molti interrogativi irrisolti, tra cui l’origine del virus, ha indicato potenziali rischi di malattie che, provengono dalla distruzione della zona cuscinetto tra fauna selvatica e zone antropiche, cioè abitate dall’uomo.

La ricca biodiversità, da sempre, protegge  gli esseri umani ad esempio, dalla trasmissione di malattie veicolate dalle zanzare perché le diluisce su grandi popolazioni di singole specie. Oppure, le aree con una maggiore diversità di uccelli hanno mostrato tassi più bassi di infezioni da virus del Nilo occidentale perché le zanzare, come vettore di infezione, avevano meno probabilità di trovare ospiti adatti. Altri esempi di malattie infettive in aumento a causa dell’invasione dell’ecosistema, includono febbre gialla, Mayaro e Malattia di Chagas nelle Americhe.



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