Addio a Rossana Rossanda. Intellettuale, fondatrice de Il Manifesto ha attraversato il Novecento con lucidità e coerenza

E' stata tra le intellettuali più autorevoli del Paese, memoria storica dell'Italia del Dopoguerra, 'la ragazza del secolo scorso', Rossana Rossanda aveva 96 anni e si è spenta nella notte nella sua casa di Roma. Giornalista, intellettuale, comunista, scrittrice, fondatrice del Manifesto. La notizia è stata data dal sito del Manifesto che ha annunciato un'edizione speciale del giornale per martedì per ricordare la giornalista.
Amica di Jean Paul Sartre, aveva vissuto a lungo a Parigi, da dove era tornata due anni fa, stabilendosi a Roma, in una casa nel quartiere Parioli. Una delle sue ultime uscite pubbliche fu l'anno scorso, a maggio, per sostenere alla Casa delle donne alcune candidate della sinistra alle elezioni Europee.
Nata a Pola nel 1924, allieva di Antonio Banfi, antifascista, ha partecipato alla Resistenza. E' stata dirigente del Partito Comunista Italiano negli anni Cinquanta e Sessanta, fino ad essere nominata da Palmiro Togliatti responsabile della politica culturale del Pci. L'esigenza di elaborare la crisi del socialismo reale, sull'onda dei movimenti studentesco e operaio, la conduce a fondare nel 1969 il gruppo politico e la rivista 'il Manifesto, quotidiano dal '71, insieme a Luigi Pintor, Valentino Parlato, Lucio Magri e Luciana Castellina.
Le posizioni assunte dal giornale in contrasto con la linea maggioritaria del Partito, in particolare sull'invasione sovietica della Cecoslovacchia, nel 1969 determinano la radiazione della Rossanda e di altri del gruppo dal Pci. L'unica ad aver convinto il capo delle Brigate Rosse, Mario Moretti, a parlare in un'intervista del caso Moro. De "il manifesto", un giornale, un collettivo, dal quale si è separata con grande amarezza nel 2012: "Prendo atto della indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione. Smetto di collaborare". Divergenze di linea politica e di approccio editoriale, incomprensione forse sanabile, il gap anagrafico: "Mi hanno sempre visto come una madre castratrice anche se io non mi sono mai sentita tale. Ma forse è una legge generazionale. I figli per crescere hanno bisogno di uccidere i padri e le madri. Ora è toccato a me".
Storica dirigente del Pci, nel 1969 venne radiata, in quanto esponente della sinistra critica del partito. Quindi, con Lucio Magri, Luigi Pintor e Valentino Parlato aveva fondato il manifesto, prima come rivista e poi come quotidiano. Era nata a Pola, antifascista aveva partecipato alla Resistenza. Una vita di battaglie, quasi tutte eretiche. È stata l'unica ad aver convinto il capo delle Brigate Rosse, Mario Moretti, a parlare in un'intervista del caso Moro.
Nei giorni della fermezza, lei sostenne la tesi della trattativa. Fu allieva del filosofo Antonio Banfi, "il mio maestro", come lo definiva. Amica di Jean Paul Sartre, aveva vissuto a lungo a Parigi, da dove era tornata due anni fa, stabilendosi a Roma, in una casa nel quartiere Parioli. Una delle sue ultime uscite pubbliche fu l'anno scorso, a maggio, per sostenere alla Casa delle Donne alcune candidate della sinistra alle elezioni Europee. "Nel bilancio della sua vita prevalgono più le ragioni o i torti?", le domandammo nell'ultima grande intervista sulla sua vita, concessa a Repubblica, il 31 ottobre 2018. "Ho cercato di fare prevalere le ragioni, ma ho avuto grandi torti, del resto chi può negare di sé di non averne avuti". E qual è il torto più grande?: "Non glielo dico. Lo dico a fatica anche a me stessa".
Perché sei stata comunista? Perché dici di esserlo? Che intendi? Senza un partito, senza cariche, accanto ad un giornale che non è più tuo? È un'illusione cui ti aggrappi, per ostinazione, per ossificazione? Ogni tanto qualcuno mi ferma con gentilezza: 'Lei è stata un mito!' Ma chi vuol essere un mito? Non io. I miti sono una proiezione altrui, io non c'entro. Mi imbarazza. Non sono onorevolmente inchiodata in una lapide, fuori del mondo e del tempo. Resto alle prese con tutti e due...". In questa lunga citazione dall'autobiografia di Rossana Rossanda "La ragazza del secolo scorso" (uscita per Einaudi, nel 2005), c'è tutta lei, una signora della politica italiana, una comunista mai pentita ma sempre critica, una "eminente marxista", come la presentavano orgogliosamente sulle piazze di paese prima dei comizi. Lei minuta, tosta e restia al microfono, colta, appassionata di filosofia e arte (vagheggiò a lungo la carriera universitaria), lei che vedeva la madre al telaio e subito riandava con il pensiero alla merlettaia di Vermeer, lei nata nel 1924 a Pola, sul tormentato confine orientale, abituata, borghesemente, a trattenere i sentimenti ("Non sono infondati i rimproveri che mi fanno per aver dato troppo o troppo poco al partito, alla rivoluzione, alla causa delle donne, al movimento o a me stessa".
Lucida, laica, politicamente razionale. Del Pci degli Anni 50 e Sessanta ricorda, nella sua autobiografia, pubblicata nel 2005 per Einaudi La ragazza del secolo scorso, tra storia e memoria lo straordinario contributo "al processo di democratizzazione della società italiana". (Una curiosità il libro arrivò nella cinquina dello Strega e fu in testa con Veronesi che quell'anno vince il la prima volta con Caos Calmo).
Il fallimento politico di Magri era anche quello di Rossanda, che lei avvertiva. Dopo essere stata direttrice del 'Manifesto', continua la riflessione e il dialogo sui movimenti operai e femministi, e si dedica soprattutto alla letteratura e al giornalismo attraverso varie pubblicazioni tra cui, nel 1979, Le altre. Conversazioni sulle parole della politica (Feltrinelli); nel 1981 Un viaggio inutile (Einaudi); nel 1987 Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986 (Feltrinelli); nel 1996 La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita'. Nel 2005 esce per Einaudi La ragazza del secolo scorso, autobiografia tra storia e memoria.
