Emiliano Cunha: Lane 4. Il ritratto di una dodicenne che si sente fuori posto nel mondo.
Alice nella città. Concorso
Amanda (Brídia Moni) è a suo agio solo quando si allena in piscina, un luogo che chiaramente richiama il ventre materno.
Fuori da quest’ambiente la dodicenne sconta la sua incapacità a stare nel mondo reale.
Non si capiscono nemmeno le ragioni profonde di questo disagio che non è un mal di vivere ma appunto un sentirsi, continuamente, fuori posto.
Quello che è certo è che l’arrivo della pubertà non aiuta.
Nonostante una famiglia protettiva ed affettuosa, ma forse troppo preoccupata che la ragazza sia una vincente nello sport, Amanda è sostanzialmente sola.
Ha un’unica amica con la quale ha un rapporto ambiguo, fatto di lunghi silenzi mentre una legge e l’altra gioca col telefonino.
Non è chiaro se questa amicizia sia reale o sia, in qualche modo, imposta dalla famiglia; quello che è certo è che l’amica di Amanda sembra molto più piccola di lei, molto più immatura.
A complicare il tutto, come detto, l’arrivo della pubertà sotto forma di mestruazioni; un rapporto complicato con il sesso, ben rappresentato dalla scena in cui spia i genitori mentre fanno l’amore e soprattutto la figura di Priscila (Kethlen Guadagnini), sua compagna di squadra.
Priscila è il suo esatto opposto. Estroversa, con un fidanzato e soprattutto vincente.
Eppure Amanda sembra provarci ad inserirsi nel mondo; c’è addirittura un ragazzo che le fa la corte.
Ma in ogni istante Emiliano Cunha ci restituisce il suo disagio, come durante la gita della squadra, quando Amanda va a giocare con gli altri ad obbligo o verità ma si capisce benissimo che preferirebbe rimanere da sola in stanza e che le sue risate sono forzate.
Persino quando va al cinema a vedere un horror con i suoi compagni di squadra la ritroviamo da sola.
Forse Amanda sente il peso delle aspettative dei suoi genitori e dell’allenatore nei suoi confronti.
Certo è che Priscila, che continua a vincere tutte le gare e ad essere prima, crea crepe ancora più profonde nel suo fragile mondo.
Cunha ci restituisce tutto il disagio giovanile di chi si trova fuori posto nel mondo e si rifugia in un microcosmo protetto.
Lo fa con un film che ha la struttura classica del film d’autore, fatto di silenzi, lunghe inquadrature statiche e primi piani, dominato dall’elemento acquatico; un’opera che ci restituisce continuamente questa sensazione di amaro in bocca che è la stessa di questa ragazza incapace di stabilire un contatto con la realtà circostante.
Eppure nulla ci fa presagire come andrà a finire questa storia, con un’ultima sequenza, che ovviamente, non possiamo svelare, in cui tutto il disagio accumulato, tutta la tensione che percorre il corpo e l’anima di questa ragazzina esplodono in una violenza inattesa, brutale e scioccante.
Un finale che colpisce duro e che ricorda la violenza improvvisa di Respire (2014) di Mélanie Laurent, mentre l’innocenza di Amanda, simboleggiato dalla sua collana, scivola sul fondo di quella vasca che è stato il suo rifugio dal mondo.
EMILIANO BAGLIO