Millennium. Quello che non uccide
Lisbeth Salander torna sullo schermo in un’avventura senza sostanza e che mette a dura prova l’incredulità dello spettatore.

Tra libri prima e film dopo (ben quattro) oramai sappiamo tutto di Lisbeth Salander (Claire Foy), del suo passato e dei suoi traumi, così come conosciamo già il giornalista Mikael Blomkvist (Sverrir Gudnason) e la rivista Millenium.
Deve essere stato questo il primo pensiero di Fede Álvarez (La casa e Man in the dark) alle prese con la trasposizione del quarto volume della serie, il primo uscito postumo e non scritto da Stieg Larsson bensì daDavid Lagercrantz.
Avendo a che fare con un personaggio conosciuto si possono seguire due strade.
O rifondare tutto da capo com’è accaduto in parte con James Bond oppure lasciar perdere ogni approfondimento psicologico, dare per scontato che lo spettatore sappia già con chi ha a che fare e spingere il pedale sull’azione.
Álvarez ha scelto questa seconda strada.
Al tempo stesso, tuttavia, ha esasperato alcuni dei tratti di Lisbeth.
Nel nuovo Millennium la nostra hacker preferita è una vendicatrice di donne offese che con l’uso di un semplice smartphone riesce ad introdursi in conti bancari, sistemi di sicurezza aeroportuali e quant’altro.
Una donna capace di calcolare al millimetro ciò che accadrà sfiorando in certi momenti del film la preveggenza.
Sempre più indistruttibile la nostra eroina sfreccia per le strade sulla sua moto, sfugge a nugoli di poliziotti e si lancia con il mezzo a tutta velocità su fiordi ghiacciati che attraversa senza che il ghiaccio si rompa.
Insomma Quello che non uccide richiede una notevole sospensione dell’incredulità che non evita però, come nella scena citata, che uno scoppi a ridere.
Il resto, persino la trama, è un semplice contorno che si trascina in un’aurea mediocrità senza riuscire mai ad appassionarci.
Anche l’interpretazione di Claire Foy, colpa forse della totale assenza di introspezione del personaggio, non convince affatto mentre gli altri personaggi sfiorano l’evanescenza soprattutto per quanto riguarda Blomkvist il cui ruolo è pressoché nullo.
Resta appunto solo l’azione ma anche qui Álvarez mostra i propri limiti; esemplare in tal senso l’unica colluttazione del film che risulta confusa ed inintelligibile.
Insomma Millennium – Quello che non uccide alla fine è un film che ci presenta una protagonista priva di personalità dai poteri quasi sovraumani a cui è difficile credere, capace qualsiasi prodigio tecnologico alle prese con un’avventura di cui alla fine poco ci importa, nonostante le nuove rivelazioni sul suo passato.
EMILIANO BAGLIO.
