25 anni fa l'assalto della Mafia allo Stato. La strage di Capaci, la morte del giudice Falcone e della sua scorta

di Rosanna Pilolli 23/05/2017 CULTURA E SOCIETÀ
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Si ricordano oggi solennemente i venticinque anni trascorsi dall’assassinio per mano di mafia del magistrato siciliano Giovanni Falcone nell’attentato di Capaci nei pressi di Palermo avvenuto il 23 maggio 1992. Con lui hanno trovato la morte sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Schifano, Montinaro e Dicillo.

Cinquecento chilogrammi di tritolo posti sotto l’Autostrada A 29 stritolarono l’uomo di legge che oggi come ogni anno ricordiamo con partecipazione ma che fino a pochi mesi prima che fosse ucciso era considerato scomodo, affetto da protagonismo, posto in difficoltà tali da essere costretto ad affermare: “mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano”. Una frase dolorosa dettata dallo sconforto in seguito nel 1989, al fallito attentato subito all’”Addaura”  località scelta per una vacanza seguito da forti polemiche e perfino da sospetti ingrati.

Era stata tuttavia innegabile e coraggiosa la lotta di Giovanni Falcone contro la mafia siciliana. Insieme ai suoi colleghi Paolo Borsellino (anche lui ammazzato a luglio del 1992 in Via D’Amelio ventiquattro ore prima che si recasse in Procura per riferire quanto gli era noto sull’omicidio di Falcone), Antonino Caponnetto, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta  aveva messo in atto la strategia apparentemente semplice ma vincente ideata dal giudice Rocco Chinnici (anche lui vittima della mafia) di istituire una squadra di giudici impegnati nei diversi processi per mafia per indagare a più voci sui fenomeni mafiosi, per unire le varie competenze evitando che la morte di un giudice per mano mafiosa potesse interrompere le indagini. Era nato così il “pool antimafia” il cui principio di spinta e le sue osservazioni di fondo si basavano sul fiume di guadagni illeciti della malavita ”segui i soldi e troverai la mafia”.

Giovanni Falcone raggiunse il suo maggior successo alla fine del 1987 con il maxi-processo che vide 474 imputati mafiosi e non solo seguiti dalla condanna di 19 ergastoli e 2.665 anni di carcere. I condannati speravano nell’annullamento della sentenza in Cassazione com’era sempre avvenuto in passato per deboli vizi di forma. Falcone chiede e ottiene la rotazione dei giudici in modo che i mafiosi non possano conoscere preventivamente chi avrebbe presieduto la Suprema Corte. Così il 30 gennaio 1992 si ebbe la conferma definitiva delle condanne. La rivolta scoppia in aula.   

Cosa nostra decide allora di dare l’assalto allo Stato perché scenda a patti con l’organizzazione mafiosa. Segue il biennio stragista tra il 1992 e il 1993: Via dei Georgofili a Firenze con la morte di una coppia di coniugi e le loro due figlie, uno studente e 40 feriti. Seguono gli attentati alle Chiese di Roma, S.Giorgio al Velabro e S.Giovanni in Laterano con 22 feriti. A Milano in Via Palestro  quattro vittime e 12 feriti. 

L’assassinio di Falcone, insieme ai falliti attentati contro il Ministro socialista Claudio Martelli in alternativa a Maurizio Costanzo vennero decisi dalle strutture  di “politica interna”della mafia, le commissioni Regionali e provinciali.  Per ordine di Riina Falcone tuttavia doveva morire in Sicilia per il forte significato di provocazione simbolica.. I sicari mandati a Roma furono quindi richiamati indietro. 

Secondo le successive testimonianze dei “pentiti” l’attentato a Falcone sarebbe stato diretto anche contro Giulio Andreotti, il maggiore candidato alle votazioni per il Presidente della Repubblica che stavano in quei giorni svolgendosi in Parlamento. Infatti due giorni dopo la strage di Capaci venne invece eletto Oscar Luigi Scalfaro.

Per l’assassinio di Giovanni Falcone venne condannato Giovanni Brusca che si dichiarò responsabile di 150 delitti fra i quali anche quello del piccolo Giuseppe Di Matteo il cui corpo fu disciolto nell’acido nitrico.

Molte voci autorevoli hanno affermato più volte che nei confronti delle cosche mafiose le nostre Istituzioni avrebbero affrontato il problema nella forma dell’emergenza e in quella difensiva rispondendo ad ogni colpo della criminalità organizzata con le consuete modalità di repressione. Oggi al contrario, di fronte all’espandersi del fenomeno e della imperante mentalità mafiosa in quasi tutto il territorio nazionale con aspetti sempre più massicci l’intervento dello Stato e dei suoi organi segue la strada in salita dell’intervento strutturale di lotta a tutto campo. Grande aiuto  sono le Associazioni, la rilevazione del dato culturale che registi e scrittori hanno posto in piena luce rivelandolo con chiarezza al pubblico.

La mafia, le mafie non sono scomparse. Sono ricominciati gli attentati mafiosi. Il cammino da percorrere è ancora lungo.


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