Sully. Eastwood con un film intimo e antiretorico mette in scena le vicende di un uomo normale diventato eroe

di Emiliano Baglio 19/12/2016 ARTE E SPETTACOLO
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Il 15 gennaio 2009, in seguito ad un impatto con uno stormo di uccelli, il volo US Airways 1549 pilotato dal comandante Chesley “Sully” Sullenberg perde entrambi i motori. Sully deciderà di effettuare un atterraggio di emergenza sul fiume Hudson, una manovra mai fatta prima. Riuscirà a salvare tutte e 155 le persone a bordo diventando un eroe nazionale.

 Sarebbe stato facile trasformare la vera storia del comandante Sully in un film roboante e spettacolare, un filmone d’azione che esaltasse la figura dell’uomo comune che diventa eroe tipica come da pura tradizione stelle e strisce.

Clint Eastwood invece ha optato per un'altra strada, realizzando un film volutamente minore (nonostante sia stato interamente girato in formato IMAX), intimo ed antiretorico.

Invece di concentrarsi sull’incidente il regista decide di concentrarsi sull’inchiesta che ne seguì. Quello che ne viene fuori è il ritratto di un uomo (Sully appunto), roso dai dubbi e perseguitato da notti insonni in cui rivive i momenti dell’incidente. Mentre tutta l’America lo acclama come un eroe il nostro protagonista deve affrontare un processo che scuote la sua coscienza. Il risultato è un film che preferisce i piccoli spazi e ci mostra il protagonista isolato, privo di amici (a parte il suo equipaggio ed il suo copilota) e lontano da casa. Solo in un paio di occasioni Sully (interpretato in maniera mimeticamente perfetta da Tom Hanks) incontra quella folla che lo acclama come un eroe; quando una sconosciuta lo abbraccia in albergo e quando si reca in un pub. In questa seconda occasione Eastwood addirittura introduce una nota ironica quasi che gli avventori del locale si stiano prendendo gioco di lui. Sully insomma ci viene restituito nella sua dimensione di uomo comune che ha solo fatto il suo dovere ed ora si interroga sulle sue azioni. A differenza di quanto hanno scritto tanti recensori non c’è nessuno spazio per la retorica ed anzi il regista lavora costantemente di sottrazione dimostrando anche in questo la sua maturità artistica oramai unanimemente riconosciuta.

Laddove emerge ancora più prepotente la classe di Eastwood è nella sequenza dell’incidente, un momento di grande cinema classico che dimostra una padronanza cinematografica perfetta ed impeccabile.

Astutamente il regista ci mostra l’avvenimento a metà film tramite un flashback, curando i piccoli particolari, concentrandosi sulle piccole storie che contornano l’avvenimento.

Ecco allora la famiglia con signora anziana in sedia a rotelle intenta a comprare ricordi di New York prima di imbarcarsi, o i tre uomini che rischiano di perdere il volo e che stanno andando ad un torneo di golf o infine la giovane mamma con neonato al seguito. Pennellate minime che frammentano la sequenza e contribuiscono ad accrescere l’immedesimazione. Attimi che magari sembrano addirittura slegati da quello che stiamo vincendo come quando Eastwood improvvisamente ci mostra tre poliziotti che chiacchierano di baseball e che pochi minuti dopo diventano protagonisti della vicenda in un montaggio concitato che fa assomigliare la pellicola ad un film di guerra.

Sono in tanti quelli che avrebbero da imparare da questa pellicola che mostra chiaramente come si costruisce una perfetta sequenza d’azione.

Certo abbiamo a che fare con un cinema classico che preferisce puntare sul montaggio, sull’interpretazione degli attori e sulla regia piuttosto che affidarsi agli effetti speciali o a telecamere a mano tremolanti che suggeriscano concitazione; un modo di fare cinema oramai raro dal sapore antico e che oramai solo i vecchi leoni si possono permettere (viene subito in mente in tal senso Il ponte delle spie di Spielberg).

Magari Sully non sarà il nuovo capolavoro di Eastwood, forse è addirittura un titolo minore nella sua filmografia, ma a nostro avviso è di film così che ha bisogno il cinema di oggi, di film piccoli ed intimisti, antiretorici e che rifiutino le facili scappatoie per costruire storie che usino i mezzi propri del cinema per arrivare al cuore degli spettatori.


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