Bollate e bulli. Una generazione in frantumi

di Chiara Benedetti 10/02/2014 LA VOSTRA VOCE
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Bollate, Milano, 8 febbraio 2014: "Lei é più bella di me, ma io so uccidere meglio".

Questo lo slogan che recita l' immagine del profilo di una giovanissima, seppur non innocente, di appena 16 anni. Il suo nome, La chiameremo G., in pochissimi giorni é schizzato agli onori della cronaca, peccato però che per motivi tutt’altro che meritori. Come in un film, la bionda16enne ha aspettato una sua quasi coetanea S. fuori la scuola e rea di averle soffiato un ragazzo ha incominciato a insultarla. Dopo le parole è passata ai fatti. Calci, spinte, capelli strappati. La vittima cercava di scappare, mentre l’aggressore non si placava. E ancora calci, spinte, una tirata di capelli  parolacce, insulti. Dall'altra parte solo grida di aiuto. Grida disperate. Grida che trafiggono chiunque le ascolti. Se solo fosse passato qualcuno da quelle parti, verrebbe da dire... E proprioqui il danno più grande. Perché mentre aggressore e vittima erano avvinghiate una quarantina di ragazzi si erano riuniti per filmare e incitare. "Ancora, ancora più cattiva", totalmente indifferenti, menefreghisti, responsabili nella stessa misura di chi colpiva forte.

 Le due facce di una stessa medaglia: quella della rabbia e della violenza. Perchè si può ferire con le mani, ma si può ferire anche di più senza. Con la non- azione, il non- gesto, la non- risposta ad un urlo disperato di aiuto. Verrebbe da arrendersi a tanta cattiveria.

 Invece no! Ci si rimbocca le mani e ci si rialza. Con qualche ferita e livido in più, ma ci si rialza e siattende giustizia. Perché arriverà. Perchè abbiamo tutti un disperato bisogno di credere che arriverà. Intanto gli “spettatori” hanno postato il video su facebook fieri della propria opera “cinematografica” per poi commentare fieri "io c'ero".

Ma la superbia ha le stesse gambe dell'ingenuità. In breve tempo i genitori della vittima hanno saputo e denunciato l'accaduto alle autorità di competenza. La vittima non aveva detto nulla loro per paura di ritorsioni, come spesso accade, aveva preferito ingoiare quell'atto di violenza. Quando la notizia é divenuta pubblica il web si è scatenato. Sono nati gruppi per sostenere la vittima e ne sono nati altri per insultare la carnefice. E di nuovo giù con un tripudio di odio e violenza verbale. "Devi morire" scrive un ragazzo, "se ti becco ti uccido" posta un altro. E allora scatta spontanea la domanda. Alla violenza di strada non può che seguire quella virtuale della rete? Si assiste ad un escalation che non trova uno sfogo legittimo. Oltretutto sia l’aggressore, soprannominata la “Bulla” che sua madre non sembrano né rendersi conto di quanto accaduto, né porre le eventuali scuse. Addirittura la ragazza sembra avere alle spalle giù una lunga storia di aggressioni e violenze verbali a danno di suoi coetanei.

 Intanto il video e tutti i suoi scellerati protagonisti sono al vaglio degli inquirenti, per la probabile accusa di omissione di soccorso. Per la povera S. ora verranno giorni difficili da affrontare. Non solo la consapevolezza della violenza subìta ma anche l’amarezza di non aver ricevuto l’aiuto di nessuno.

Una cosa é chiara: occorre interrogarsi consapevolmente su come il web possa favorire esplosioni di violenza e rabbia e indifferenza come quelli descritti. La società nel suo intero deve soccorrere la vittima ma aiutare ancora di più l’aggressore, nel senso di soccorrerla e avviarla in un percorso di consapevolezza dei suoi orribili gesti, rendendola capace di scoprire una nuova vita. E si dovrebbe aiutare anche la sua famiglia, la madre che tanto l’ha difesa, sbagliando.

Tutto ciò perché abbiamo ancora bisogno di credere nella cultura della civiltà, nella capacità riabilitativa della società.

 



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