Adagio
La conclusione della trilogia della Roma criminale di Stefano Sollima
Adagio
Brucia Roma, come cantava Antonello Venditti.
Un vasto incendio lambisce la capitale, arrossando un cielo solcato dagli elicotteri antincendio mentre la città è vittima di continui blackout.
C’è un senso di morte e di fine del mondo che pervade totalmente Adagio, l’ultimo film di Stefano Sollima.
D’altronde questo capitolo finale di un’ideale trilogia della Roma criminale, è anche la storia della fine di un’epoca e dell’incontro/scontro tra due diverse generazioni.
Ancora una volta ci sono tre amici, ex membri della Banda della Magliana.
Non si tratta però dei capi storici, come in Romanzo criminale – La serie, ma di seconde fila; disperati ridotti a derelitti dimenticati da tutti e pieni di acciacchi.
Polniuman (Valerio Mastrandrea) è cieco, il Cammello (Pierfrancesco Favino) è ai suoi ultimi giorni e Daytona (Toni Servillo) almeno apparentemente non ci sta più con la testa.
Improvvisamente nella loro vita si presenta l’occasione di un’ultima impossibile redenzione, rappresentata da Manuel (Gianmarco Franchini), il figlio di Daytona, che è vittima dei ricatti di tre carabinieri corrotti capitanati da un cattivissimo Adriano Giannini nel ruolo di Vasco.
Persino geograficamente questi tre rottami vivono ai margini; Mastandrea in una sorta di baracca sul tetto di un palazzo del Mandrione; Cammello in uno squallido appartamento che affaccia sulla Tangenziale mentre Daytona si muove tra Prenestina e Tiburtina.
Persino il finale si svolge tutto fuori dal centro, nella Stazione Tiburtina.
Sollima, sin dall’inquadratura aerea iniziale, sceglie di esplorare una Roma marginale e periferica, diversa da quella frequentata normalmente dal nostro cinema, tra luoghi che potrebbero essere il Corviale o il Laurentino 38.
Non sono luoghi scelti a caso, sono lo specchio di questi tre ex amici sconfitti dalla vita, dai tradimenti, dalla vecchiaia e dalle malattie.
Adagio, il titolo, diventa quasi un’indicazione non solo per quanto riguarda il ritmo dilatato ed al tempo stesso in crescendo del film, ma anche per quanto concerne il tono della pellicola.
Nonostante infatti si tratti di un noir cupissimo, l’ultima fatica di Sollima è anche un film intimista, concentrato su questi tre perdenti che, improvvisamente, si trovano faccia a faccia con la possibilità, finalmente, di redimersi delle loro colpe salvando Manuel.
In un geniale rovesciamento dei ruoli, i criminali stavolta cercano di fare del bene mentre i tutori della legge sono spietati e violenti.
Tuttavia è proprio il capo dei cattivi, Vasco, a rappresentare due facce diverse; da una parte carabiniere violento e pronto a tutto, dall’altra amorevole padre di famiglia.
In questo senso il suo personaggio rappresenta il contraltare sia del Cammello che di Daytona, entrambi padri che hanno fallito nel loro ruolo.
Ma Adagio è un film pieno di sorprese e di citazioni, di personaggi ambigui e bifronti.
Come da tradizione il destino di tutti è già deciso e scritto mentre, in un grandioso finale, Roma diventa il teatro di una catastrofe annunciata, con le fiamme che la devastano, il caos alla stazione, la cenere che ricopre tutto mentre gli uccelli volano via a frotte.
Resta solo un piccolo spiraglio legato ai giovani e delle vecchie foto di una vecchia amicizia e di un passato che non tornerà più.
Il cerchio si chiude e Sollima si riconferma, ancora una volta, uno dei nostri migliori registi.