The quiet girl

Nelle sale il primo film irlandese candidato all'Oscar come miglio film straniero.

di EMILIANO BAGLIO 27/02/2023 ARTE E SPETTACOLO
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Campagna irlandese, anni ’80.

Cáit (l’esordiente Catherine Clinch) è una bambina di nove anni trascurata da genitori; forse c’è anche di peggio ma The quiet girl anche su questo si ferma alla superficie e non approfondisce la questione.

La madre (Kate Nic Chonaonaigh) è incinta dell’ennesimo figlio, il sesto; il padre (Michael Patric) è un ubriacone sfaccendato che sperpera i pochi averi ai cavalli, le sorelle non se la filano proprio e la bambina sta crescendo timida e chiusa su sé stessa come si intuisce facilmente dall’unica espressione contrita che sfoggia l’attrice unita al fatto che il personaggio fa ancora la pipì a letto.

Per motivi non meglio chiariti la ragazzina viene spedita per l’estate da dei lontani cugini; Eibhlín (Carrie Crowley) e Seán Kinsella (Andrew Bennett) e qui conoscerà l’amore familiare che non ha mai avuto.

Colm Bairéad, al suo esordio nel lungometraggio di finzione, adattando il romanzo Foster di Claire Keegan vorrebbe palesemente lavorare di sottrazione.

Fedele al titolo, il suo film cerca di asciugare qualsiasi orpello puntando all’essenziale, lasciando che tutto sia appena accennato con delicatezza e pudore attraverso gesti minimi.

Purtroppo il regista non possiede minimamente i mezzi per costruire un film su tali presupposti

The quiet girl avanza stancamente riproponendo all’infinito le stesse scene riprese in maniera piatta e svogliata, complice una fotografia patinata che non ha nulla a che vedere con gli intenti intimistici che si vorrebbero suggerire.

Nelle intenzioni si vorrebbe realizzare un film in cui la quiete bucolica della campagna alla povertà dalla quale proviene Cáit ed i sentimenti stessi dei personaggi, siano appena suggeriti affidandosi magari più alla ripetizione con minime variazione degli stessi gesti.

Esemplari in tal senso le scene nelle quali Seán lava la stalla, prima da solo poi accompagnato dalla fanciulla a sottolineare il processo di avvicinamento tra i due e lo sciogliersi del carattere, apparentemente brusco del primo.

Lo stesso dicasi per quella corsa ripetuta da Cáit sino alla buca delle lettere dei coniugi Kinsella alla quale farà da eco la corsa finale.

Purtroppo, come già detto, Bairéad sembra non governare affatto il suo film né avere una qualche direzione estetica verso la quale indirizzarsi.

Il risultato è una lentezza sfiancante priva di qualsiasi poesia, il tutto come già detto sottolineato da una fotografia pessima e sequenze che vorrebbero essere significative e che divengono inutilmente didascaliche nelle quali naufraga miseramente l’intento del film di voler suggerire le emozioni dei personaggi.

Esemplare il particolare del letto bagnato da Cáit la quale, ovviamente, giunta nella tranquillità della nuova casa, smetterà di fare la pipì a letto.

Alla fine rimane solo la morale per la quale la famiglia non è per forza quella naturale ma quella che noi ci costruiamo e che è basata sul vero affetto, espressa purtroppo in maniera rozza e superficiale in un film che non è altro che una estenuante sequela di sequenze piatte e prive di idee.

EMILIANO BAGLIO


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