La timidezza delle chiome.

Il ritratto di due fratelli che crescono e diventano uomini.

di EMILIANO BAGLIO 22/11/2022 ARTE E SPETTACOLO
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Come suggerisce il titolo stesso, che pure fa riferimento ad altro, alla base dell’esordio di Valentina Bertani c’è una questione di capelli ed un incontro casuale, quello tra la regista ed i due fratelli Benjamin e Joshua Israel.

Lei rimane colpita dall’aspetto fisico dei due, complici appunto dei capelli ricci arruffati, loro la respingono a causa delle sue trecce rasta; impossibile non ripensare a quell’incontro simile dal quale nacque The wolfpack di Crystal Moselle (http://www.euroroma.net/3892/ARTEESPETTACOLO/festa-del-cinema-di-roma-the-wolfpack-la-genialit224-dei-fratelli-angulo.html).

Da allora sono passati più di cinque anni, un tempo lungo, anche a causa del covid, che tuttavia ha permesso a Valentina Bertani di entrare completamente nella vita dei due fratelli e di realizzare un film complesso e dalle molte sfaccettature.

La timidezza delle chiome innanzitutto, come molto cinema documentario, pone il problema del rapporto tra realtà e finzione e della commistione tra i due.

È evidente che alcune sequenze siano state costruite ad hoc come confermato peraltro dalla stessa regista, il problema come sempre è capire quanto ci sia appunto di sceneggiato e quanto invece di spiato dal buco della serratura ed i dubbi, vedendo il film, sono parecchi.

La timidezza delle chiome quindi non è un documentario puro, ha una buona parte che è stata scritta appositamente e gioca apertamente su questa ambiguità allo stesso mondo con il quale Valentina Bertani usa indifferentemente i filmini familiari della famiglia Israel o le riprese di Google earth.

Quello che conta alla fine è il risultato finale ed il percorso, il resto è funzionale a ciò.

Da questo punto di vista ci troviamo dinanzi ad un film sorprendentemente problematico e ricco di tematiche.

Innanzitutto c’è il modo in cui viene affrontata la disabilità, in questo caso psichica, dei due fratelli che è sì ed ovviamente centrale ma sulla quale non viene mai posto l’accento.

Merito di uno sguardo attento che non ha paura di affrontare direttamente le problematiche sessuali legate alla disabilità, come già accadeva in Because of my body di Francesco Cannavà (http://www.euroroma.net/9084/ARTEESPETTACOLO/biografilm-festival-2020-in-concorso-because-of-my-body-di-francesco-cannav224.html).

In secondo luogo La timidezza delle chiome diviene anche il ritratto di una comunità, quella ebraica, del rapporto tra questi due ragazzi e la religione e sul finale persino un documentario sul servizio militare in Israele.

Infine il film di Valentina Bertani è il racconto di un nucleo familiare, dell’amore per la musica e soprattutto è uno splendido ritratto di due fratelli che diventano uomini.

E qui torniamo al titolo, la timidezza delle chiome è quel processo per il quale gli alberi, quando crescono, evitano di farsi ombra l’uno con l’altro.

È esattamente quello che succede a Benjamin e Joshua.

I due, nonostante i continui sfottò ed i litigi tipici di tutti i fratelli del mondo, sono evidentemente ed ovviamente legatissimi tra di loro eppure sono diversissimi tra di loro.

Così, tanto per fare un esempio, se Benjamin non vede l’ora di fare l’amore Joshua gli ricorda che è meglio scopare.

La timidezza delle chiome, grazie anche alla durata che ha avuto l’intero progetto, documenta come queste diversità con il tempo crescano ed esplodano proprio nel momento in cui i due si ritrovano a svolgere il servizio militare in Israele.

Il film di Valentina Bertani in fondo è soprattutto uno straordinario ritratto, quasi un reportage, su quel momento particolare della propria vita in cui da adolescenti si diventa adulti, sulle strade che si dividono, sulle chiome che crescono senza farsi ombra ma rimanendo comunque l’una vicina all’altra.

EMILIANO BAGLIO


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